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di Aaron Pettinari
Il marito, Nino Creazzo, era stato arrestato nell'operazione Eyphemos

La notizia è rimbalzata velocemente in vari quotidiani calabresi: Ivana Fava, sottufficiale dell'Arma e figlia del brigadiere Antonino Fava, ucciso nel 1994 assieme al collega Garofalo nell'ambito degli attentati compiuti dalla 'Ndrangheta (delitti che si sarebbero consumati in virtù di un accordo con Cosa nostra nell'ambito della strategia stragista dei primi anni Novanta) è indagata per omessa denuncia, nell'ambito delle indagini che hanno visto coinvolto il marito, Antonino Creazzo. Quest'ultimo, oggi ai domiciliari, è finito in manette con l'accusa di associazione mafiosa, nell'operazione dello scorso febbraio, Eyphemos.
Un'indagine che ha colpito duramente il clan Alvaro di Sinopoli (65 arresti) e che ha scosso la Calabria in quanto, tra gli arrestati, con l'accusa di voto di scambio politico mafioso, vi era anche il neo consigliere regionale, Domenico Creazzo (fratello di Nino), già sindaco di Sant’Eufemia candidato con Fratelli d’Italia.
Nelle carte dell'inchiesta il nome di Ivana Fava compariva in diverse intercettazioni, ma al tempo non risultava essere formalmente indagata. Gli investigatori, oltre ad alcune conversazioni con il marito, evidenziavano alcuni rapporti quantomeno discutibili. "L'indagine - si leggeva nell'ordinanza - infatti ha permesso di appurare innanzitutto, che Creazzo Antonino unitamente alla coniuge il sottoufficiale dei Carabinieri, Ivana Fava, era commensale di Alvaro Domenico classe 1977 - come già rilevato, condannato per mafia nel processo Xenopolis, figlio di Alvaro Nicola (condannato per mafia nel procedimento Prima e per estorsione aggravata da modalità mafiose nel processo "il Guardiano") - nonché cognato di Crea Giuseppe, esponente di spicco della ndrina Crea di Rizziconi". Inoltre si dà atto dell'acquisizione di una foto selfie scattata dalla coniuge di Domenico Alvaro, "che ritrae le due coppie sorridenti, a tavola, in un non meglio individuato ristorante". Inoltre venivano documentate sia le sollecitazioni ricevute dal marito che il suo interessamento in Prefettura per garantire a degli imprenditori certificazioni antimafia su commissione.
Dal 14 gennaio, però, la Fava si trova indagata dalla procura antimafia di Reggio Calabria. Perché in una delle conversazioni intercettate il marito la mise al corrente non solo di un'attività di usura nei confronti di un imprenditore, Cosimo Petrolino, ma anche del suo intervento diretto, con il coinvolgimento della famiglia 'ndranghetista degli Alvaro e quindi con la potente famiglia dei Crea, affinché la stessa avesse fine.

La vicenda
Il fatto contestato è di una certa gravità. Scrivono gli investigatori che "la peculiarità della vicenda che risiede, senza alcun dubbio, nella circostanza che persone della cultura di Petrolino Cosimo, in situazioni di difficoltà, a seguito di pressioni e minacce poste in essere da parte di soggetti criminali, si rivolgano a persone che orbitano in quella zona 'grigio/scura' della società, i quali, a loro volta, interessano soggetti criminali per ottenere un risultato che, per logica, dovrebbe essere richiesto allo Stato e non all'antistato".
Gli agenti del commissariato di Palmi, che hanno redatto l’informativa inviata alla Procura, evidenziano proprio il dato per cui nessuno si sia rivolto alle autorità preposte. Neanche la Fava, ufficiale di pg che ne aveva l'obbligo.
Il marito, in una conversazione, le spiega in maniera chiara le vessazioni che l'imprenditore aveva subito e quando la moglie chiese spiegazioni su come mai Petrolino non denunciasse quanto gli stava accadendo, Nino Creazzo riferiva candidamente di essere stato incaricato di intervenire.
"Un'ambasciata" che sarà eseguita "con i suoi parenti veri (il clan Crea, ndr) con quelli che lui dice che sono suoi parenti ... (incomprensibile)". La Fava, che le settimane dopo l'arresto del marito aveva espresso rammarico per essere stata tirata in ballo in alcuni articoli, nel dialogo, ne prende semplicemente atto.
Quel contatto con i Crea venne attivato tramite un'altra figura di peso come l'amico Domenico Alvaro.
Il padre di quest'ultimo, Nicola Alvaro, finì arrestato e poi scagionato da Giovanni Falcone per l'omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, e più recentemente era stato coinvolto nelle inchieste sulla latitanza del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, "nella loro zona di influenza, ovvero il territorio compreso tra i comuni di Sinopoli e San Procopio". Elementi che, scrivono gli inquirenti, erano noti a Creazzo.

Quel contatto con la massoneria
I due coniugi non parlavano solo di quell'episodio. Perché Antonino Creazzo aveva collegamenti anche con alcuni ambienti para massonici, tramite cui, secondo gli inquirenti, avrebbe tentato di aggiustare sentenze per far scarcerare piccoli e grandi boss.
Un mondo che il marito dimostrava di conoscere e di cui Petrolino faceva parte, così come Tonino Seminario, Gran Maestro aggiunto del Goi.
"Cosimo si deve tenere buono perché sennò non prende nie ... - diceva Creazzo in un'intercettazione - Cosimo è ... io ti dico io, che Cosimo con Tonino Seminario, lo so io per certo, vanno bene". E poi ancora: "Poi di fatto, c'è chi comanda per la Piana, chi comanda a Reggio, chi comanda la Jonica ... la fatta è così! E qua nella Piana è Cosimo il numero uno! Però poi quando ... quando Tonino si deve relazionare, non si relaziona con questo! Tonino chiama a Cosimo! Senti che ti dico io!".
Come ricordato, in un'intervista al Corriere della Sera, la Fava si è sempre difesa. Riguardo alla cena, documentata con tanto di selfie si disse "sconcertata". Addirittura si era giustificata per quella cena con il capoclan ("Io sapevo chi era Domenico Alvaro, ma ognuno fa le sue scelte. Quella cena me la sono trovata organizzata, ed è stata motivo di discussione con mio marito. Tante volte mi sono arrabbiata con lui per certe sue frequentazioni, se ci sono le intercettazioni in casa sentiranno anche le mie urla"). Un disaccordo che, a suo dire, sarebbe stato manifestato anche nella vicenda Petrolino. Leggendo le trascrizioni delle intercettazioni, anche se gli inquirenti annotano in diversi passaggi anche le risate, non è certamente chiaro farsi un'idea. Tuttavia resta un dato di fatto la natura dell'inchiesta: "l'omessa denuncia". E su questo, allo stato, sembra esservi poco da aggiungere.

Foto © Imagoeconomica

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