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di AMDuemila
A Palermo in manette politici e dirigenti del Comune

Consiglieri comunali, dirigenti, professionisti e imprenditori che avrebbero gestito irregolarmente pratiche edilizie a Palermo. E' questo il quadro emerso dall'inchiesta "Giano Bifronte" della Procura di Palermo che ieri ha portato all'esecuzione di sette arresti domiciliari per corruzione e un obbligo di firma in quello che rischia di essere un vero proprio terremoto in Comune, che già stava portando avanti un rimpasto in Giunta. Ai domiciliari sono finiti i capigruppo di Italia viva e del Partito democratico al consiglio comunale di Palermo: Sandro Terrani e Giovanni Lo Cascio. Quest'ultimo è anche presidente della commissione Urbanistica. Ai domiciliari anche i funzionari comunali Mario Li Castri, già dirigente dell'Area tecnica della Riqualificazione urbana e delle infrastrutture, e Giuseppe Monteleone, già dirigente dello Sportello unico attività produttive. Analogo provvedimento cautelare per l'architetto Fabio Seminerio e gli imprenditori Giovanni Lupo e Francesco La Corte, rispettivamente amministratore di fatto e di diritto della Biocasa srl, con sede a Palermo, operante nel settore edilizio. Obbligo di firma, infine, per l'architetto Agostino Minnuto. I reati contestati, a vario titolo, sono di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione per l'esercizio della funzione e falso ideologico in atto pubblico. le indagini ipotizzano un "comitato d'affari" che sarebbe stato composto da imprenditori e professionisti "in grado di incidere - dicono gli investigatori - sulle scelte gestionali di pubblici dirigenti e amministratori locali". Quest'ultimi avrebbero "asservito" la loro funzione "agli interessi privati" in modo da "consentire di lucrare indebiti e cospicui vantaggi economici nel settore dell'edilizia privata".
A svelare i particolari e i nomi del "comitato d'affari" è stato il pentito Filippo Bisconti, imprenditore edile arrestato dai carabinieri per associazione mafiosa il 4 dicembre 2018 nell'inchiesta "Cupola 2.0" e ritenuto a capo del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. L'ex boss ha raccontato agli inquirenti circostanze e dinamiche interne agli uffici tecnici comunali, riferendo gli interessi coltivati per anni dai dirigenti comunali Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone e dall'architetto.
Il collaboratore di giustizia ha riferito di avere avuto modo di avviare, in quanto titolare di una ditta edile, rapporti professionali con Li Castri e l'architetto Seminerio, diversi anni fa in occasione dei lavori edilizi eseguiti nel Comune di Pollina; dopo questa prima collaborazione, gli avrebbero proposto di lavorare insieme anche nell'ambito di un'altra lottizzazione da effettuarsi questa volta nel capoluogo siciliano e in particolare nella via Convento di Baida; in questo periodo e negli anni a seguire il collaboratore della giustizia ha ricordato di avere avuto una stabile frequentazione professionale con i due. Pur non avendo mai direttamente assistito a scambi sospetti di somme di denaro o di altro, il collaboratore ha dipinto un contesto professionale connotato da quella che il gip Michele Guarnotta ha chiamato "manifesta spregiudicatezza" di Li Castri. Questi viene indicato come un pubblico funzionario "stabilmente aduso a spostare al di fuori degli uffici di appartenenza i procedimenti amministrativi attribuiti alla sua competenza e i sottostanti interessi privati, con l'evidente finalità di stringere accordi non ufficiali con gli imprenditori più malleabili onde lucrare indebiti vantaggi dalla sua attività istituzionale". Inoltre, si apprende, Seminerio veniva indicato da Bisconti come "il più solido alleato" di Li Castri. Pur non avendo visto "scambi di mazzette", aveva comunque contezza di assegnazioni di "incarichi professionali" "pilotate riservatamente dai due indagati, "entro una logica perfettamente accomunabile - ha spiegato il Gip - alle utilità tradizionalmente corrisposte nell'ambito dei rapporti illeciti di corruttela". Evidenti anche i rapporti tra i due e Giuseppe Monteleone, quasi una sorta di "società", connotata da una preordinata "divisione dei progetti" e da "un continuo scambio di favori, sfruttando indebitamente le posizioni amministrative ricoperte all'interno dell'Area tecnica palermitana dai suddetti pubblici ufficiali". In particolare il gip ha evidenziato come dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia non vi sarebbero dubbi che Li Castri e Monteleone avrebbero trasformato "i pubblici uffici di volta in volta ricoperti come degli incarichi di natura esclusivamente privata". Il pentito usava l'espressione "si dividevano i progetti" confermando come l'Area tecnica del Comune di Palermo, "nel corso degli ultimi anni, nell'ottica dei due indagati - ha rilevato ancora il giudice - sia diventata una sorta di privilegiato punto di osservazione dal quale individuare le speculazioni edilizie potenzialmente più redditizie al fine di pilotare i correlati procedimenti amministrativi".
Particolarmente duro il giudizio espresso nei confronti dei due consiglieri comunali di Palermo. Secondo il giudice "erano del tutto inconsapevoli dell'importanza del ruolo rappresentativo loro attribuito ed esclusivamente dediti a ricercare affannosamente nuove occasioni di guadagno da ottenere, mettendo in vendita le proprie funzioni pubbliche esercitate in seno alla locale assemblea consiliare". E, nei loro confronti paiono "particolarmente urgenti le esigenze coercitive, considerando che l'iter di approvazione dei permessi di costruire in deroga risulta tuttora in corso e il ruolo strategico dagli stessi rivestito in seno al Consiglio comunale, ben potrebbe determinare pericolosissime contaminazioni del processo decisionale in corso presso l'organismo assembleare". In tale contesto "paiono sostanzialmente superflue ulteriori valutazioni circa il chiarissimo rischio di recidiva tuttora gravante sui due titolari della Biocasa srl Giovanni Lupo e Francesco La Corte. Ed invero, entrambi sono risultati coinvolti in tutte le vicende corruttive in contestazione, sicché le loro attività corruttive, perpetrate ostinatamente in ogni direzione, non possono che apparire il vero e proprio architrave del sistema delinquenziale emerso grazie alla presente indagine". Anche e soprattutto nei loro confronti, dunque, per il gip, l'esigenza cautelare inerente il pericolo di commissione di nuovi reati "non può che considerarsi estremamente attuale ed assolutamente concreta, tenuto conto del resto dell'indole delinquenziale e della elevatissima spregiudicatezza dagli stessi costantemente manifestata".

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