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di Aaron Pettinari
Registrati dalla Dia incontri con rappresentanti delle famiglie "Usa" pronte ad investire

L'operazione "White Shark" condotta dalla Dia su coordinamento della procura di Palermo contro il clan dell'Arenella, giustamente sta trovando un certo risalto per la presenza, tra gli arrestati, di Giuseppe Costa, detto "u checco" (balbuziente, ndr). Questi, accusato di associazione mafiosa, è il fratello di Rosaria, vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta morto assieme al giudice Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, il 23 maggio 1992 a Capaci.
Ma non è lui il protagonista assoluto dell'operazione. A capo della famiglia, infatti, vi è Gaetano Scotto, sospettato dalla Procura generale di Palermo di essere uno dei killer dell'agente di polizia Antonino Agostino, ucciso il 5 agosto 1989.
Le indagini della Dia hanno fatto emergere come lo stesso, dopo la sua scarcerazione, era riuscito, pur rimanendo nell'ombra anche grazie all'aiuto di altri familiari, a reggere le sorti della famiglia mafiosa.
Nelle carte si evidenzia più volte come Scotto rivesti un ruolo di particolare rilievo in Cosa nostra. Tra i contatti non vi sono solo quelli con affiliati siciliani ma anche con i "alcuni soggetti italo americani, rappresentanti delle più potenti famiglie mafiosa U.S.A.".
Tra i personaggi intercettati con Scotto c'è anche un soggetto di primissimo piano come Leonardo Lo Verde, 75 anni, suo ex socio nella gestione del ristorante "Mamma Leone" e, come ricordato durante la conferenza stampa di martedì in passato coinvolto in alcune indagini del giudice Falcone sul traffico di stupefacenti. Un nome che era emerso anche nella più recente inchiesta "Paesan Blues", che raccontava sempre dei collegamenti tra Cosa nostra siciliana e quella americana.
Nelle intercettazioni i due boss si autodefiniscono come "mafiosi di rango superiore" proprio per la capacità di agire senza il "bisogno dei riflettori".

"Rango superiore"

L'incontro, registrato dagli agenti della Dia, è avvenuto il 2 maggio 2018, davanti al bar Bruno, gestito dai Galioto (tra gli indagati raggiunti da ordinanza vi è Paolo Galioto). Un incontro per scambiarsi informazioni "sugli attuali assetti dell'organizzazione in Italia e in U.S.A", ma anche per rimembrare vecchie vicende giudiziarie che li aveva visti coinvolti. Una conversazione in cui i due non mancano di criticare quei boss che non sanno mantenere un basso profilo. Tra questi citano Ino Corso (del clan di Santa Maria di Gesù) e Michele Siracusa (della famiglia di Borgo Vecchio) che per la fretta di riprendere i propri ruoli di comando dopo la scarcerazione si sono "seduti" subito, senza adottare alcuna cautela. Un "passo falso" che li aveva portati ad essere nuovamente arrestati.
Lo Verde sosteneva che, dato il loro peso in Cosa nostra, potevano comunque autorizzare "come dei pupazzi" la reggenza del clan senza sovraesposizioni.
Scotto nelle conversazioni non nascondeva, poi, il suo risentimento nei confronti di un soggetto detenuto, che gli inquirenti avrebbero identificato in Pietro Magrì, al quale aveva affidato parte dei suoi beni: "Si sono venduti tutte cose... una cosa... si sono approfittati. Io aspetto ad uno che esce dalla galera, mi devi credere, gli devo infilare la minchia in bocca e non lo devo fare uscire più da casa... si è venduto tutte le cose mie... per 'sgubbari'".
E poi ancora ricordavano un'affiliazione di un soggetto calabrese: "Te lo ricordi quel malandrino, malandrino vero, quello il calabrese... quello che... quello con la "cantina"... abbiamo il rito, la cerimonia" e ancora: "Lo hanno portato che voleva essere 'fatto' (affiliato, ndr) e lo abbiamo fatto".
Di quell'incontro con "l'Americano" Scotto parlava anche con il fratello Francesco Paolo, riferendo anche, scrivono gli inquirenti, che questi aveva un "impero economico realizzato negli Stati Uniti dopo la sua partenza dall'Italia". E ancora, sempre assieme al fratello e con il nipote, oltre a dire che si aspettava una visita anche da parte della moglie di Lo Verde aggiungeva: "Questa ne ha fatti viaggi". Secondo gli investigatori il riferimento è all'impiego della donna per il trasporto di sostanze stupefacenti.

Investimenti Usa
Ma i rapporti con gli americani non si esauriscono qui. Il 3 marzo 2018 Scotto incontrò due personaggi intenzionati ad effettuare investimenti immobiliari a Palermo. Uno di loro è stato identificato in Salvatore D'Amico, ricomparso a Palermo nel 2006 dopo un periodo di irreperibilità che risulta avere precedenti penali per associazione per delinquere e traffico di sostanze stupefacenti negli Stati Uniti.
Un aspetto rilevante emerso da quell'incontro sarebbe il "presunto investimento immobiliare" che gli americani avrebbero voluto fare in un ristorante-pizzeria. Nel corso della conversazione D'Amico disse anche di essersi "messo a disposizione" di uomini vicini a Gaetano Fidanzati (ormai deceduto, ndr), i quali erano stati vittime di una sparatoria all'interno di un locale di New York. E prima di andar via si "metteva a disposizione di Scotto riconoscendone l'importante ruolo in Cosa nostra". Quei due soggetti non piacevano troppo al boss dell'Arenella perché "parlavano troppo", tanto da manifestarlo nei giorni successivi anche a Lo Verde.

Imprenditori in fila per pagare pizzo

Il capo centro della Dia, Amoroso, in conferenza stampa aveva appellato Scotto come un "despota" a cui alcuni cittadini dell'Arenella si affidavano come "sudditi", addirittura "dando spontaneamente parte delle risorse economiche". E' infatti emerso dalle indagini che non servivano minacce per fare pagare il pizzo ai commercianti. Il "contributo" per sostenere i carcerati e le loro famiglie viene versato senza battere ciglio da tantissimi. Quando Gaetano Scotto uscì dal carcere di Rebibbia nel 2016 fu prelevato dal fratello Francesco Paolo con i due figli, a bordo di un'auto guidata da Silvio Benanti, gestore dell'autofficina "Nuova Stella" di Palermo.
Un viaggio che la Dia ha registrato in diretta grazie ad una cimice.
Benanti, si legge nell'ordinanza, è "totalmente assoggettato al potere degli Scotto, anche perché Gaetano gli aveva garantito protezione". Dall'indagine è emerso che diverse attività commerciali avevano fatto recapitare a Scotto somme di denaro senza che ne avesse fatto una richiesta esplicita. Per questo non viene contestata l'estorsione a carico di Scotto, né la partecipazione all'associazione mafiosa del titolare dell'autofficina: il giudice lo definisce "imprenditore opaco", come Giovanni Tarantino, titolare del pub "Trizzano".
In un'intercettazione del 15 aprile 2017 tra il boss e l'allora compagna Giuseppina Marceca, Scotto "confermava la vicenda dei regali di Tarantino durante la detenzione, confidandole che in una cena l'imprenditore aveva tentato di dargli una busta con denaro, rifiutata perché la consegna era avvenuta in presenza di altri".
Ci sono altre società, si legge nell'ordinanza, che "rappresentano per Cosa nostra una proficua fonte di guadagno", come la "Galati Catering", "Ganci", "Sciacca I", la discoteca "Il Moro".

No ad ambulanti e microcriminalità
Ma Scotto nel rione allontanava anche ambulanti che non avevano "l'autorizzazione". E per evitare interventi delle forze dell'ordine aveva cacciato spacciatori e rapinatori.
Sul punto l'ordine del boss dell'Arenella sarebbe stato perentorio: "Buttare tutti furori". E se qualcuno si lamentava? "Qua non lo voglio e basta! Che è sto autorizzato? A chi minacci con questo 'autorizzato'? Qua non ha autorizzato nessuno!", con tanto di possibilità di usare le maniere più forti ("Prendono e gli danno quattro... Te la sbrighi tu...").

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