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di AMDuemila
Depositata perizia integrativa. Trovata ridotta quantità di materiale esplodente sulla staffetta metallica di alluminio

Il perito esplosivista Danilo Coppe ha depositato la perizia integrativa che risponde ai quesiti avanzati dalla Corte d’Assise di Bologna che sta processando l’ex Nar Gilberto Cavallini per la strage alla stazione ferroviaria del capoluogo romagnolo avvenuta il 2 agosto 1980. Da quanto emerge i resti trovati nella bara di Maria Fresu nel corso dell’esumazione disposta dalla Corte d’Assise di Bologna appartengono a due Dna femminili differenti ma non alla giovane mamma sarda Maria Fresu. Esito che confermerebbe quanto anticipato dall’AdnKronos lo scorso 14 ottobre sui risultati dell'esame del Dna della maschera facciale con uno scalpo trovata il 25 ottobre scorso durante la riesumazione nel cimitero di Montespertoli di quello che si ritenevano essere i resti della Fresu, dal quale si era già dimostrata la non appartenenza del materiale organico della ventiquattrenne. Il documento peritale, elaborato da Coppe e dal colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, Comandante della Sezione di Chimica, Esplosivi ed Infiammabili dei Ris, integra anche la perizia sul Dna, predisposta dalla dottoressa Elena Pilli, capitano dei carabinieri e biologa genetico-forense dell'Università di Firenze, dei resti inizialmente attribuiti alla Fresu. Dall’esame viene anche ipotizzato come escludere definitivamente che la maschera facciale con lo scalpo e la mano destra con le dita appartengano ad una 86esima vittima. Teoricamente di fatti potrebbero esserci 5 o 6 vittime di sesso femminile a cui potrebbe appartenere il lembo facciale, così come ad una di altre due donne rimaste vittime dell'esplosione potrebbe essere ricondotta la mano, nonostante la perizia del professor Pappalardo che identificò tutte le vittime esclude in toto questa circostanza. Se la Corte riterrà opportuno proseguire con gli accertamenti potrebbero essere necessari altri esami per indagare, eventualmente, sulla compatibilità dei resti umani.
Dagli esami dei periti emergono particolari interessanti anche sul reperto metallico rinvenuto tra le macerie dei Prati di Caprara apparentemente ritenuto essere dagli addetti ai lavori un interruttore di sicurezza per il trasporto della bomba. Secondo la perizia la staffetta metallica di alluminio di 10 centimetri per 3 circa, piegata e sul quale è stato montato artigianalmente un interruttore on off a levetta di tipo automobilistico è stata trovata una ridotta quantità di esplosivo. Gli esami metallografici condotti dal professor Marco Boniardi, ordinario di metallurgia ed esperto in Failure Analysis & Forensic Engineering del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, hanno inoltre rilevato che la piegatura non sarebbe il risultato di uno shock termico, quale potrebbe essere stata la detonazione della bomba, quanto, piuttosto, la conseguenza di una pressione meccanica. Queste risultanze tuttavia non escludono completamente che possa essersi trattato di un interruttore di sicurezza. "Parrebbe non avere un ruolo nell'evento del 2 agosto 1980. - si legge nella perizia in riferimento all'interruttore - Resta comunque convinzione di chi scrive che fosse doveroso investigare approfonditamente sull'oggetto, visto che presenta similitudini con ordigni ritrovati, ed in ogni caso era frequente l'uso di sicurezze di trasporto". I periti infine escludono che la staffa metallica di alluminio avrebbe dovuto fondersi per il calore, come invece sostenuto dai consulenti del pm nelle scorse udienze.

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