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regeni paola cartello c imagoeconomicadi Karim El Sadi
Il Presidente della Camera "Rapporti bloccati fino a vera svolta nelle indagini"
L'italia non ci sta. All'ennesimo sgambetto dell'Egitto sulla ricerca degli esecutori e mandanti dell'omicidio di Giulio Regeni la Procura di Roma introdurrà nella lista degli indagati almeno 5 agenti della National Security di Al Sisi. Pare evidente a questo punto, dopo l'ultimo incontro tra gli addetti ai lavori delle due parti conclusosi con un altro nulla di fatto, che l'esecutivo egiziano non sia intento a collaborare. Il sostituto procuratore Sergio Colaiocco - che con il procuratore Giuseppe Pignatone non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte di Regeni da quel 3 febbraio del 2016, quando il cadavere martoriato di Giulio fu ritrovato sul ciglio di una strada - ha dunque tirato dritto puntando il dito sugli uomini d'intelligence del Cairo. Colaiocco ha annunciato dalla Capitale, a seguito di un meeting (il decimo) tra la Procura romana e quella egiziana per esaminare gli ultimi sviluppi sulle indagini che riguardano l'uccisione del ricercatore friulano, che si procederà dunque con l'inserimento nei fascioli di almeno 6 dei 9 sospettati delle forze di sicurezza. Si tratta di uomini di polizia e dei servizi segreti civili egiziani. Persone che avrebbero avuto un ruolo nel sequestro del ricercatore friulano e nell'attività di depistaggio messa in atto dopo il ritrovamento del suo cadavere, il 4 febbraio del 2016, nella periferia di Alessandria. Ad oggi però non verrà chiesto il loro arresto, perché non esistono indizi o prove sufficienti. Infine, scrive la Stampa, "il provvedimento della procura di Roma esclude i poliziotti e gli 007 sospettati per il depistaggio, in quanto il reato non ha coinvolto direttamente Regeni". Il summit, dunque, non sarebbe tutto da buttare. Secondo quanto scritto in un comunicato sarebbe servito comunque a "riaffermare la determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel quadro della cooperazione giudiziaria, sino a quando non si arriverà a risultati definitivi nell’individuazione dei colpevoli". Anche se nella realtà il procuratore Pignatone ha giudicato la decisione inevitabile. Una decisione, questa, che sancisce il fallimento della via diplomatica e l’insoddisfazione per i risultati raggiunti dalla magistratura egiziana nella ricerca della verità sul terribile omicidio del giovane friulano. Intanto mentre il ministro degli Interni Salvini risponde dicendo "il governo sul caso Regeni sta facendo il massimo", il presidente della Camera dei deputati è passato dalle parole ai fatti. Roberto Fico, intervistato al TG1, ha annunciato ufficialmente l'interruzione dei rapporti con le istituzioni del Cairo. "Con grande rammarico saranno bloccati fino a quando non ci sarà una svolta vera nelle indagini e un processo che sia risolutivo" ha detto. La conferenza dei capigruppo ha approvato all'unanimità la decisione.

Le prove insabbiate e quel processo che non s'ha da fare
A quasi 3 anni dalla scomparsa di Regeni le indagini egiziane sul caso sono andate avanti "a rilento" arricchite da "buchi" e depistaggi vari. I sei sospettati del National Security erano già noti agli addetti ai lavori. Gli agenti erano stati identificati dagli uomini dei Carabinieri del Ros e Sco con tanto di nomi e cognomi. Sono il maggiore Magdi Abdlaal Sharif, il capitano Osan Hemly e altri tre o quattro agenti. Polizia e Carabinieri sarebbero riusciti ad arrivare a loro tramite le analisi dei tabulati telefonici e le testimonianze. C'è il forte sospetto che queste 5 persone abbiano pedinato Giulio Regeni, almeno fino al 22 gennaio. E poi abbiano ricominciato il 25, giorno della sua scomparsa. Da quel momento il lavoro degli investigatori italiani era finito con una informativa poi consegnata alle autorità egiziane nell’incontro svolto lo scorso dicembre. Per questo motivo a quasi un anno di distanza la delegazione degli inquirenti romani, guidata dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, si aspettava un riscontro. Invece, come si legge su Repubblica, si sono trovati davanti sette paginette senza ulteriori dettagli. Da qui, la volontà di imprimere una svolta al fascicolo aperto quasi tre anni fa a piazzale Clodio. Un atto che rappresenta un passaggio formale e necessario in base al nostro tipo di ordinamento, a differenza di quello in vigore in Egitto. "Uno scatto in avanti che ufficialmente - hanno spiegato gli addetti ai lavori - non avrà ripercussioni sull’attività congiunta svolta in questi anni tra le due autorità giudiziarie e che durerà anche nei prossimi mesi". In questa vicenda sono molti gli elementi che non tornano. Ad esempio è stata ribadita la presenza di "buchi" nelle immagini delle videocamere della metropolitana registrate la sera del 25 gennaio 2016, giorno della scomparsa di Regeni. Proprio negli orari d’interesse. La risposta degli inquirenti egiziani è che i buchi sono dovuti ad una sovrascrittura. Resta comunque un interrogativo sul fatto che dall’analisi dei video non è stato possibile individuare alcuna immagine del ragazzo. I filmati analizzati rappresentano il 5 per cento del totale ripreso il 25 gennaio 2016 dalle telecamere posizionate all’interno della metropolitana del Cairo (il restante 95 per cento non è risultato utilizzabile). Il lavoro ha riguardato i video di tutta la linea 2 della metro e non soltanto quelli presenti nelle stazioni El Bohoth e Dokki nell’orario compreso tra le 19 e le 21. In pratica ciò che era stato richiesto dalla Procura di Roma era un accertamento risalente a maggio, ma gli egiziani l’hanno trasmesso ai tecnici della società russa incaricata solo pochi giorni fa, il 23 novembre, giustificando l'accaduto facendo ricadere le colpe ad una sovrascrittura. Finora quel poco che è dato sapere è che i soli ad essere processati saranno due uomini accusati di aver ucciso cinque malviventi in una sparatoria con ufficiali della National Security egiziana, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane. Inutile dire che si trattava di un tentativo di depistaggio. L'ennesimo.

Foto © Imagoeconomica

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