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fava claudio regione sicilia c imagoeconomicadi AMDuemila
Il giornalista di Repubblica ascoltato in commissione regionale antimafia
“Tra i paradossi di questa storia c'è un cronista che riceve una visita con perquisizione e sequestro molti mesi dopo avere pubblicato una notizia che di fatto era conosciuta, e con uno zelo che ci sembra fuori tempo ed eccessivo”. E’ con queste parole che Claudio Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, si è espresso sulla perquisizione a casa del giornalista di Repubblica, Salvo Palazzolo. Nei giorni scorsi, le forze dell’ordine hanno eseguito la perquisizione, mettendo sotto sequestro il suo cellulare, un tablet e tre hard disk. Palazzolo è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver scritto il marzo scorso la notizia della chiusura dell’indagine a carico di tre poliziotti accusati di aver depistato le indagini sulla strage di Via D’Amelio.
Ieri, il giornalista è stato sentito dall’Antimafia siciliana e il presidente Fava sulla vicenda si è chiesto: “Come mai nessun atto investigativo di questo tipo, attraverso una perquisizione, sia mai stato fatto dal 1995 al 2018, in 23 anni, nei confronti dei funzionari e dei sottufficiali di polizia che oggi sono formalmente imputati, ma che arrivano da imputati in questo processo senza che mai un giudice abbia firmato un decreto di perquisizione nel loro ufficio. Ci sembra che se nei confronti di alcuni protagonisti di questa indagine ci fosse stata solo una parte dello zelo manifestato verso un cronista colpevole solo di aver scritto la verità, su un fatto noto a conclusione di un processo, forse qualcosa di più sarebbe emerso”.
Palazzolo, prima di presentarsi davanti all’Ars, su Facebook ha scritto: "Fino a qualche giorno fa, pensavo che un cronista a cui hanno sequestrato il suo archivio (chissà perchè) è uomo senza una gamba, che non può correre. Poi, invece, all'improvviso, ho cominciato a ricordare. Nomi, volti, domande. Mi sono tornati in mente davvero tanti dettagli dei misteri di Palermo. Tanti. Ogni giorno di più. Non posso, non possiamo dimenticare che molte verità sulle stragi sono ancora custodite in alcuni archivi di Stato”.
Il giornalista di Repubblica ha consegnato alla commissione antimafia “le domande che i cronisti siciliani non hanno mai smesso di fare sulle stragi”. E poi spiegando la prima domanda, si è chiesto: “Perchè il principale depistatore dell'inchiesta su via d'Amelio, il superpoliziotto Arnaldo La Barbera, era anche un agente dei servizi segreti? Nell'archivio del Sisde c'è la risposta?”.
Riguardo la libertà di agire dei poliziotti sull’inchiesta della strage Borsellino, Fava ha detto: “A me piacerebbe capire come sia stato possibile tollerare per tanto tempo questa madornale anomalia, cioè che funzionari di pubblica sicurezza, che lavoravano sotto copertura per i servizi segreti, abbiano avuto un appalto in esclusiva su questa indagine. E' un'anomalia, esclusa da tutte le leggi, quelle di allora e quelle di riforma del settore dei servizi di sicurezza. Mi piacerebbe sapere quali siano state le sollecitazioni per la creazione di questo gruppo di investigazioni e i poteri conferiti a questo gruppo e quale sia la catena di comando che dal 19 luglio del '92 in poi, ha accompagnato fin dai primi istanti della strage, questa inchiesta, queste sono le domande che aspettano di essere fatte”.
Il presidente, alla fine della seduta, ha evidenziato come l’audizione del giornalista è stata “utile”. Salvo Palazzolo ha una memoria storica professionale eccellente, - ha aggiunto - ha seguito queste vicende per un quarto di secolo e ci ha permesso di mettere insieme le molte domande che sono rimaste inevase in questi anni, che porgeremo ai legittimi destinatari. Siamo convinti come lui, che la verità sulla strage e soprattutto sui depistaggi che attorno a questa strage sono stati costruiti, non possa essere confinata in un'aula di giustizia. Una verità più complessa che riguarda le catene di comando, le responsabilità istituzionali, le scelte operative e investigative che non possono essere analizzate solo con lo strumento del codice penale”.

"Il diritto di cronaca non si perquisisce"
Dopo le iniziative di numerose Procure, che con perquisizioni e sequestri ai danni di giornalisti e redazioni mettono a rischio la tutela delle fonti e il segreto professionale, i giornalisti italiani si mobilitano in difesa del diritto-dovere di informare i cittadini. Giovedì 20 settembre, alle ore 12, nella sede della FNSI, in corso Vittorio Emanuele II, 349 a Roma, in concomitanza con l’udienza preliminare del processo, a Caltanissetta, a carico di tre poliziotti per il depistaggio attorno alla strage di via D’Amelio, la Federazione nazionale della Stampa italiana organizza una conferenza stampa per fare il punto della situazione e illustrare le prossime iniziative.
Insieme con il segretario generale e il presidente della FNSI, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, saranno presenti, fra gli altri: il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna; il segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani; la portavoce di Articolo21, Elisa Maricola; i giornalisti Attilio Bolzoni, Monica Andolfatto, Federica Angeli, Paolo Borrometi, Floriana Bulfon, Antonello Caporale, Graziella Di Mambro, Rosaria Federico, Fabrizio Feo, Cristina Genesin, Stefania Limiti, Sabrina Pisu, Luca Salici, Pino Scaccia, Claudio Silvestri, Maurizio Torrealta, Maria Zegarelli.
Invece a Caltanissetta, sempre giovedì 20, il segretario regionale dell’Assostampa Siciliana Roberto Ginex guiderà una delegazione di giornalisti per un sit-in di solidarietà al cronista di Repubblica a difesa della libertà di stampa.
Con queste occasioni si potrà anche rilanciare l’appello di Salvo Palazzolo, per “illuminare” i processi sulle stragi di Stato e dar vita a una nuova, grande stagione di inchieste dei giornalisti italiani sui misteri che hanno insanguinato il Paese e sui quali non si è ancora giunti a ottenere verità e giustizia.

Foto © Imagoeconomica

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