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tescaroli luca c imagoeconomica 2di Antonella Beccaria
Il neo procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli e il giornalista Ferruccio Pinotti non hanno diffamato Fininvest con il libro “Colletti sporchi”. Lo stabilisce la quarta sezione civile della Corte d’Appello di Venezia (presidente Giovanni Callegarin) che, con la sentenza depositata lo scorso 7 settembre, ha rigettato il ricorso della società, che aveva perso già in primo grado. Dello stesso tenore, infatti, era stato anche il pronunciamento del tribunale di Verona che, il 26 settembre 2014, aveva respinto la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti degli autori e della casa editrice, la Bur (Biblioteca Universale Rizzoli, Rcs Libri).
Il volume, uscito nel 2008, ricostruiva la storia di “finanzieri collusi, giudici corrotti, imprenditori e politici a libro paga dei boss”. Come si evince già dal lungo sottotitolo riportato in copertina, nelle sue pagine traccia “l’invisibile anello di congiunzione tra Stato e mafia” e propone ai lettori “un viaggio nella borghesia criminale guidati da un magistrato da sempre in prima linea”. Tescaroli, appunto, che, tra i molti casi di cui si è occupato, ha rappresentato l’accusa nel processo per la strage di Capaci del 23 maggio 1992 chiedendo 32 ergastoli (24 ne furono comminati) e ha indagato sull’omicidio del presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, trovato impiccato il 18 giugno 1982 a Londra.

“Diffamatorie accuse contro la Fininvest”
Peraltro, nel 1997 - dieci giorni dopo aver pronunciato a Caltanissetta la requisitoria nel dibattimento per l’omicidio del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro - subì un attentato a cui scampò. Accadde mentre si trovava al mare dalle parti di Maratea, in provincia di Potenza, e solo la reazione dei due carabinieri che accompagnavano il magistrato, allora trentaduenne, e la fidanzata impedì a un commando composto da due killer di portare a compimento l’omicidio. Ai tempi, apparve chiaro il legame tra le richieste di condanna e l’agguato.
Negli anni destinatario di attacchi a mezzo stampa che hanno portato a condanne definitive, Tescaroli - accusato per “Colletti sporchi” anche di aver voluto screditare il lavoro dei suoi colleghi - è apparso come il principale obiettivo dell’atto di citazione di Fininvest, notificato agli autori e all’editore a metà 2010, circa un anno e mezzo dopo la pubblicazione del libro. Tacciati di “spregiudicata tecnica narrativa”, il magistrato e il giornalista (difesi rispettivamente dagli avvocati Fabio Repici e Caterina Malavenda) erano stati accusati di “lanciare diffamatorie accuse contro la Fininvest (e non solo), tratteggiata come una società appartenente al sistema di collusione istituzionale e finanziaria” che “le consentirebbe di svincolarsi abilmente dalle inchieste giudiziarie”. Inoltre, sempre secondo l’azienda - che dovrà pagare le spese legali -, dal libro sarebbe emerso un “coinvolgimento della Fininvest per fatti di riciclaggio nel processo contro gli esecutori materiali delle stragi di Capaci e via d'Amelio”.
Vari, in base all’atto di citazione firmato dai legali Francesco Vassalli e Fabio Roscioli, sarebbero stati gli strumenti per gettare fango sulla società dell’orbita berlusconiana. Tra questi, sono state contestate le dichiarazioni di un pentito, Salvatore Cancemi, che, tra l’altro, “rivelò che Riina, prima della strage, si era incontrato con ‘persone importanti’ e gli aveva riferito che si trattava di Dell’Utri e Berlusconi. Aggiunse che appartenenti al Gruppo Fininvest versavano periodicamente 200 milioni di lire a titolo di contributo a Cosa Nostra”. Le parole del collaboratore di giustizia, reo confesso della strage di Capaci, sono state presentate dai legali Fininvest come “inattendibili”, “de relato” e “prive di riscontro”.

“Fatti esposti in modo veritiero e senza travisamenti”
In realtà, come si legge già nella sentenza di Palermo che ha condannato Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, le affermazioni di Cancemi a proposito di “dazioni di danaro dalla Fininvest a ‘Cosa nostra’” sono suffragate da “elementi di prova granitici ed incontrovertibili” la cui quantità ed eterogeneità “impediscono che si possa adombrare il sospetto che la mole di notizie acquisite agli atti possa avere avuto come unico punto di riferimento proprio le dichiarazioni di Cancemi”.
Smontata questa rimostranza di Fininvest, si arriva al capitolo intitolato “Nel cuore della finanza criminale” in cui - si lamenta - l’azienda “viene indicata come il maggiore veicolo di trasferimento dei capitali mafiosi nel circuito finanziario italiano”. Dal quartier generale romano di Largo del Nazareno, dove la società ha sede, si respinge l’accostamento ai processi Dell’Utri e Calvi, si attaccano i consulenti che hanno redatto perizie sull’origine del patrimonio della società e si torna a calcare sulla “chiara intenzione di screditare la Fininvest”.
Pure in questo caso le rimostranze sono state respinte perché le vicende ricostruite nel libro non riguardano direttamente l’azienda, ma il suo patron, Silvio Berlusconi, e di nuovo Dell’Utri, che peraltro non ricoprì mai cariche al suo interno, ma fu presidente di una controllata, la concessionaria Publitalia ‘80, ruolo che gli valse anche una condanna divenuta definitiva nel 1996 per false fatturazioni e frode fiscale. Dunque, nella sostanza, a proposito di “Colletti sporchi”, fin dalla sentenza di Verona del 2014 si stabilisce che “i fatti indicati [...] come diffamatori erano stati esposti nel libro in modo veritiero e senza travisamenti e che le opinioni espresse dagli autori costituivano legittima espressione del diritto di critica”. E con il pronunciamento di Venezia si riconosce di nuovo il “sostanziale rispetto dei parametri di verità, continenza e pertinenza. In particolare, l’esposizione, basata su riscontri ed emergenze processuali obiettivamente riscontrabili, non può ritenersi connotata da illazioni o accostamenti di carattere suggestivo, travalicanti l’esercizio del diritto di critica”.

Foto © Imagoeconomica

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