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di Antonella Beccaria
È stato il giorno di Francesca Mambro in Corte d’Assise, dove si sta celebrando il processo a carico dell’ex terrorista nero Gilberto Cavallini, accusato di concorso nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Cinquantanove anni compiuti lo scorso 25 aprile, è stata condannata complessivamente a nove ergastoli (compreso quello per l’esplosione nel capoluogo emiliano), oltre a 84 anni e 8 mesi di reclusione.
Oggi è totalmente libera, nonostante i 96 morti che le sono stati attribuiti, compresi gli 85 della bomba collocata nella sala d’aspetto di seconda classe quasi 38 anni fa. In carcere, però, è stata reclusa per 16. Nel 1998, infatti, viene ammessa al regime di semilibertà e nel 2002 le vengono assegnati i domiciliari. Nel 2008, poi, arriva la libertà condizionale grazie al perdono della sorella e del cognato di una vittima della strage, reato per il quale peraltro Mambro si è sempre proclamata innocente, e nel 2013 la sua pena è stata dichiarata definitivamente estinta.

Formazione di una neofascista
Nonostante ciò, l’ex terrorista dei Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) è tornata in città dicendo di sentirsi una “deportata”. E ha aggiunto: “Non ho fatto nulla di cui vergognarmi qui a Bologna. Starci mi provoca grande stress, non dovrei esserci né come imputata né come testimone”. Nonostante l’“ansia e angoscia” che dice di provare, dimostra sicurezza nel rispondere. Per alcuni dei reati per cui è stata condannata, si assume a vario titolo responsabilità politiche, morali o giudiziarie. Altri, come la strage del 1980, li respinge. Non vuole essere ripresa mentre depone e, su sollecitazione delle domande del pubblico ministero Antonello Gustapane, torna all’inizio.
Torna ai suoi 14 anni, cresciuta in un quartiere popolare a maggioranza rossa di Roma, con la scelta di virare a destra. Prima il Fronte della Gioventù e l’ombrello della sezione del Msi di via Noto. Poi lei, figlia di un maresciallo di pubblica sicurezza, vive in presa diretta i fatti del 7 gennaio 1978, quando due neofascisti diciottenni, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, vengono uccisi da un gruppo di estrema sinistra. Poco dopo un terzo ragazzo, Stefano Recchioni, è falciato dal proiettile esploso da un capitano dei carabinieri.
Quello è un momento di non ritorno, che spinge Francesca Mambro verso la clandestinità e la lotta armata. “Eravamo carne da macello, abbandonati dal partito e dalle istituzioni - ministero dell’Interno e magistratura - che dovevano difenderci”.
Nonostante il crescendo dei crimini commessi, dei Nar dice che si trattava di un gruppo “umano”, un aggettivo che usa spesso per sottolineare legami che sarebbero stati più affettivi che politici. A proposito di “umanità”, accennando a un percorso di ricostruzione della sua vita dopo la carriera da terrorista, parla della sua, di umanità, “che non ho mai perduto”, nemmeno quando ha commesso i crimini più efferati.

Curiose distanze dai vecchi neofascisti
Rispetto al mondo dell’eversione di estrema destra, inoltre, spiega che i Nar volevano prendere le distanze dai vecchi neofascisti di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale, che vedevano compromessi con ambienti ambigui e infiltrati. Per loro, per esempio, Stefano Delle Chiaie, leader di An, era “inaffidabile”.
Ambivalente, invece, la percezione che avevano di Terza Posizione, formazione definita da Mambro una “sorta di boy scout”, ragazzi che avevano imboccato una strada “nazional-rivoluzionaria”, ma che erano controllati troppo da vicino da Roberto Fiore, oggi al vertice di Forza Nuova, e da Gabriele Adinolfi, ideologo di Casa Pound, biasimati per essere scappati all’estero dopo i mandati di cattura per la strage di Bologna. Eppure, con un altro leader di Terza Posizione ebbero non pochi rapporti prima dell’attentato. È quel Francesco Mangiameli che poi i Nar uccidono il 9 settembre 1980.
E a un certo punto, ha detto ancora Francesca Mambro in udienza, Valerio Fioravanti - il terzo Nar condannato per la strage di Bologna ai tempi suo compagno e divenuto marito in carcere - disse che andava riformulata la loro posizione nei confronti dell’ordinovista Massimiliano Fachini. Ancora a proposito dei “vecchi arnesi” dello stragismo italiano, c’è poi il progettato tentativo di fuga dal carcere di un altro di Ordine Nuovo, Pierluigi Concutelli, l’assassino del magistrato Vittorio Occorsio, ucciso a Roma il 10 luglio 1976.
Si aggiungeva la volontà dei Nar di far evadere anche Renato Vallanzasca, il boss della Comasina. “Erano azioni eclatanti, portatrici di un messaggio di libertà”, ha dichiarato ancora Francesca Mambro provocando una volta di più i brusii tra i familiari delle vittime della strage di Bologna, presenti in aula.
Infine c’è stata l’almeno apparente presa di distanza da Gilberto Cavallini. “Noi in rapporti con i servizi segreti e la loggia P2 di Licio Gelli? Assolutamente no. Questo vale per me e per Valerio Fioravanti. Per l’imputato di oggi, invece, impossibile mettere la mano sul fuoco.

Foto © Imagoeconomica

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