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processo c imagoeconomicaMinacce, violenze ed intimidazioni come strategia
di AMDuemila
Dopo oltre due anni di dibattimento (162 udienze, che si sono svolte nell’aula bunker del tribunale di Reggio Emilia a partire dal 23 marzo 2016) il maxi processo “Aemilia” è giunto alle battute conclusive. Da due giorni, infatti, i pm della Dda di Bologna, Marco Mescolini e Beatrice Ronchi sono impegnati nella requisitoria dell’accusa nei confronti dei 151 imputati che devono rispondere di reati che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, al riciclaggio; dal danneggiamento, alle minacce; dalla frode fiscale, all’estorsione. Si tratta di presunti boss, affiliati, fiancheggiatori e complici del clan guidato da Nicolino Grande Aracri.
Il clima è tutt'altro che disteso in aula, specie dopo le nuove notizie per cui, nel corso dell'udienza dell'8 maggio scorso, come riportano alcuni quotidiani, il pentito Antonio Valerio avrebbe dichiarato, in videoconferenza dalla località segreta in cui è ristretto, di essere stato minacciato. Una rivelazione che ha scosso gli inquirenti perché segue quella del pestaggio ai danni di un altro collaboratore di giustizia, Paolo Signifredi, raggiunto e massacrato davanti a casa nel luogo protetto in cui risiede. Sull'episodio sono in corso indagini da parte dell'antimafia. Valerio avrebbe invece riferito di essersi sentito minacciato da dichiarazioni e atteggiamenti di altri imputati.
Dopo queste intimidazioni e minacce ricevute da alcuni pentiti, il magistrato Mescolini ha detto di aver "grande preoccupazione per  quanto riportano i giornali". E sempre rispetto alle informazioni ottenute dai tre collaboratori di giustizia - Antonio Valerio, Salvatore Muto e Giuseppe 'Pino' Giglio -, per confermare la presenza della cosca nel territorio emiliano, il pm ha ribadito che questi "hanno fornito riscontri formidabili a quanto da noi sostenuto". Secondo il pm la chiamata di correo per altri imputati, supportata da "riscontri individualizzanti e attendibilità intrinseca ed estrinseca",
rappresenta "un capitolo sufficiente a portare alla condanna". Inoltre, "coloro che sono imputati hanno piena consapevolezza dell'ausilio all'associazione". Il pm ha anche parlato di "condotte che denunciano cosa sia stata e cosa sia adesso, l'associazione 'ndranghetistica che si è espressa in Emilia fino al 2015 e fino al 2018 sotto altri aspetti".
Il pm Beatrice Ronchi, nel secondo giorno di udienza dedicato alla requisitoria, ha anche ricordato le minacce alla deputata grillina Maria Edera Spadoni e all’esponente leghista Catia Silva. “L’unica forza che ci rimane è quella di parlare, perché vogliono che si taccia. E’ la prima arma civile che noi dobbiamo esercitare. Costoro non la vogliono” ha detto il pm che ha ricostruito quella che, secondo l'accusa, era una vera e propria strategia per far passare il concetto di "ghettizzazione" della comunità di Reggio. Una strategia di gruppo ma che avrebbe visto particolarmente attivo Gianluigi Sarcone. “Un inganno quello della discriminazione - ha detto Ronchi -, da usare a loro difesa”.
Altra azione strategica, secondo i pm, sarebbe stata anche l’autodenuncia del 2013 di Giuseppe Iaquinta, all’indomani dell’esclusione della sua azienda dalla White List ad opera della prefettura. Il padre dell’ex calciatore di Juventus e Nazionale Vincenzo aveva chiesto che indagassero su di lui, che non aveva nulla da nascondere. Anche se la Cassazione su questo elemento ha ritenuto di scarcerare lo stesso Iaquinta, il pm ha chiesto che venga condannato per mafia e processato per calunnia nei confronti dell’ex prefetto di Reggio Antonella de Miro.
Secondo l'accusa, poi, da parte degli imputati vi sarebbe stata una vera e propria azione di intimidazione e ricatto nei confronti di rappresentanti delle istituzioni e non solo, citando il sindaco Luca Vecchi e la moglie Maria Sergio, le cooperative, Enrico Bini, “costretti - ha detto Ronchi, parlando in particolare di Pasquale Brescia - a prendere posizione verso gli imputati del processo”.
Anche per questo il pm Mescolini ha chiesto alla corte presieduta da Francesco Caruso un giudizio equilibrato per condannare tutti gli imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Le conclusioni dell'accusa dovrebbero durare per circa tre udienze, poi sarà la volta delle arringhe difensive. La sentenza, dunque, potrebbe arrivare tra circa tre mesi.

Foto © Imagoeconomica