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bologna 2agosto bigPochi ricordi nella testimonianza dell’ex compagna dell’ex Nar Flavia Sbrojavacca
di Antonella Beccaria
Una nuova perizia chimico-esplosivistica. È quanto ha ordinato il presidente della Corte d'Assise di Bologna Michele Leoni nel processo che vede l'ex Nar Gilberto Cavallini imputato di concorso nella strage alla stazione del capoluogo emiliano del 2 agosto 1980. Già individuato l'esperto che se ne occuperà, Danilo Coppe, già perito di parte civile nel processo per l'attentato di piazza della Loggia, quello avvenuto a Brescia il 28 maggio 1974. E due saranno i quesiti a cui la perizia dovrà rispondere, attraverso una rilettura degli atti ed eventuali metodiche sperimentali.

Composizione e timer
In primo luogo, Coppe dovrà tornare sulla composizione dell'esplosivo usato a Bologna nell'estate di quasi 38 anni fa con tecniche più avanzate rispetto a quelle utilizzate nelle perizie precedenti. Perché? "Può avere un riflesso sulla provenienza dell'esplosivo", ha spiegato, nel corso della terza udienza del processo, Leoni. Il quale chiede anche di concentrarsi di nuovo anche sull'innesco - timer o chimico - perché nel secondo caso uno degli attentatori potrebbe non avere avuto il tempo di allontanarsi rimanendo ferito nell'esplosione.
Il secondo quesito fa tornare alla mente la vicenda di Sergio Picciafuoco, che riportò lesioni dalla bomba alla stazione di Bologna. Una serie di incongruenze sulla sua presenza, quella mattina, e sulla sua storia personale aveva contribuito a farlo incriminare, ma una sentenza divenuta definitiva, dopo la condanna in primo grado, l'aveva assolto da qualsiasi responsabilità nell'attentato. Picciafuoco, più avanti, verrà a deporre e in quella sede risponderà alle domande che gli verranno riposte. Ma nella prossima udienza, fissata per il 9 maggio, altri saranno i testi sentiti.
Uno è Walter Sordi, ex nero che nell'agosto 1981 iniziò a collaborare con la giustizia, e Luigi Ciavardini, ai tempi dell'attentato ancora minorenne e per questo condannato a trent'anni di reclusione perché ritenuto uno degli esecutori della strage. Del secondo, nell'udienza del 18 aprile, si è parlato molto e lo si è fatto con tre voci femminili: Flavia Sbrojavacca, ex compagna di Gilberto Cavallini, Elena Venditti, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta legata sentimentalmente a Ciavardini, e la sua amica, Cecilia Loreti, che allora stava con Marco Pizzari, ucciso dai Nar il 30 settembre 1981 perché considerato all'origine dell'arresto di un altro nero, Nazareno De Angelis, poi morto suicida.

Tanti "non ricordo"
Flavia Sbrojavacca, che oggi ha 57 anni e più nessun rapporto con Cavallini, venne accusata di favoreggiamento e poi assolta. Si è rifatta una vita e forse anche per questo non ricorda tanti dettagli di quella relazione lontana nel tempo che la rese madre di un bambino nato il 10 luglio 1980. Per lei, il compagno si chiamava Luigi Pavan, Gigi per tutti, e lavorava per una compagnia petrolifera. Un impiego che, diceva lui, lo costringeva a frequenti trasferte usate come copertura per la sua attività terroristica senza destare sospetti.
La donna, che era la proprietaria della casa di Villorba di Treviso presso cui furono ospitati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro a ridosso della strage, scoprì la vera identità del compagno nell'autunno del 1980. Il 26 novembre di quell'anno Cavallini e un altro neofascista, Stefano Soderini, vennero sorpresi in un'officina di Milano e uccisero un brigadiere dei carabinieri, Ezio Lucarelli. E fu proprio l'auto che i neri avevano portato lì, la Opel Kadett di Flavia Sbrojavacca, a farle aprire gli occhi. A quel punto accaddero due fatti. In primo luogo lei diventò uccel di bosco seguendo Cavallini in una fuga che la portò anche all'estero, prima in Svizzera e poi a Londra, Atene, Parigi e Cadice.
Il secondo è che sembra non esserci stata una rilettura della storia di Cavallini fino all'omicidio Lucarelli. Sì, Riccardo e Chiara - i nomi usati da Fioravanti e Mambro nel soggiorno in Veneto - li conosceva, ma ricorda poco o nulla della loro presenza a casa sua. Non ricorda affatto Ciavardini. Non le vengono dubbi sulla frequentazione del suo uomo con un noto neofascista del posto, Roberto Raho, conosciuto anche da lei, e anche di politica non si parlava o, almeno, lei di discorsi non ne fece con lui né ne senti. "Mi davano dell'anarchica", ha risposto sulle sue idee aggiungendo che "tanto a destra non ho mai tirato".
Insomma, una donna concentrata sulle prime settimane di vita del figlio, che trascorre per buona parte a casa dei genitori, e che accetta la proposta di Cavallini di andare a fine estate ad Aurozo di Cadore, in montagna, per una vacanza. Prima di farlo, però, preleva il denaro depositato su un conto corrente, svuota una cassetta di sicurezza e mette in vendita la Opel Kadett che in novembre le farà scoprire chi è il suo compagno. "Non è stata una fuga?", le ha chiesto l'avvocato di parte civile Roberto Nasci, nonostante la donna non ricordi questi fatti. "No", è comunque la risposta di Flavia Sbrojavacca.

"Braccati dai Nar"
La seconda donna che depone è Cecilia Loreti. Lei, incensurata, e il fidanzato Marco Pizzari vennero interrogati il 23 settembre 1980 e quindi rilasciati. "Se ci avessero arrestati", ha detto la donna che dal 1987 lavora in Comune a Roma, "Marco non sarebbe morto". Di fatto, tornare in libertà equivalse a bollarli come "infami" tanto che la Digos li protesse per un periodo, la coppia riparò a Rieti e solo dopo undici mesi, nell'agosto 1981, tornò a Roma. Il 23 settembre il ragazzo fu ucciso e la sua fidanzata di nuovo protetta. "Gli agenti ci hanno trattato con fermezza, ma con onestà intellettuale", ha aggiunto.
Lei, che nella serata del 1° agosto 1980 doveva partire per Venezia con Elena Venditti e Marco Pizzari, ha ribadito che il giorno della partenza, nella casa di Ladispoli dello zio, giunse la telefonata di Ciavardini, con il quale avevano appuntamento nel capoluogo veneto, in cui si diceva che era meglio rimandare il viaggio, che prevedeva il passaggio dalla stazione di Bologna. I tre ragazzi eseguirono e il 4 agosto, dopo aver cambiato i biglietti, presero la via di Venezia rimanendo meno di due giorni lì.
"Era una gita" che fecero comunque, nonostante il massacro, perché erano ragazzi e a certi eventi non badavano affatto. In seguito non sospettò mai che Ciavardini e i suoi "amici" - i "sette magnifici pazzi" a capo dei Nuclei armati rivoluzionari - potessero far loro del male. Così, dopo l'omicidio di Pizzari e la rivendicazione dei Nar, rimase scioccata da un telegramma inviato dallo stesso Ciavardini in cui si dava al ragazzo giustiziato poco prima della spia. "Noi non facevamo parte di un gruppo, non potevamo essere traditori, spie", ha aggiunto la donna, che in più occasioni si è commossa ricordando quel periodo e l'omicidio del fidanzato di allora.
La sua amica dei tempi, Elena Venditti, invece, è rimasta salda sulla sua versione di sempre: la telefonata allo zio di Cecilia Loreti ci fu il giorno della strage, non quello precedente. La donna, condannata per vari reati tra cui associazione sovversiva, banda armata, rapina e ricettazione, dice di ricordarselo perché in tarda mattinata, a ridosso dell'ora di pranzo, si stavano preparando per andare al mare e prima di uscire lei accese la televisione e vide le prime immagini della stazione. La sua, comunque, è una testimonianza che non ha contribuito a salvare Ciavardini dalla condanna e di Cavallini, che non la vedeva di buon occhio così come gli altri dei Nar, dice di averlo visto solo dopo i fatti, a processo. Eppure in verbali precedenti ne aveva parlato, definendolo anche come quello con "l'accento settentrionale" che "gira armato".

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