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bologna orologio rottodi Antonella Beccaria
È il processo a un imputato, ma sembra anche la riapertura di un intero capitolo della recente storia italiana. A Bologna, davanti alla Corte d'assise presieduta da Michele Leoni, è iniziato il dibattimento che vede come unico imputato Gilberto Cavallini, ex terrorista nero che fece parte dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari). È accusato, 38 anni dopo la bomba esplosa il 2 agosto 1980 alla stazione del capoluogo emiliano, di concorso in strage. Perché, secondo la procura, avrebbe fornito supporto logistico ai tre neofascisti già condannati in via definitiva, Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini.

La riapertura di un intero capitolo, si diceva, quello che alle 10.25 del 2 agosto 1980 fece 85 vittime e oltre 200 feriti. L'affermazione discende dalle liste prove e testi presentate dalle parti. Liste che partono, come ha detto il pubblico ministero Antonello Gustapane (che rappresenta l'accusa con i colleghi Enrico Cieri e Antonella Scandellari), dall'intento di verificare tre punti: il primo, se Gilberto Cavallini abbia davvero dato alloggio ai condannati a Villorba di Treviso; in seconda istanza, se abbia fornito una patente di guida falsa a Fioravanti, divenuto latitante in quei giorni; in terzo luogo, se abbia messo a disposizione agli attentatori il mezzo di trasporto per andare da Villorba a Bologna.

Ma leggendo altri nomi, si vede come lo spettro dei temi affrontati nel corso delle udienze, va oltre. "Basta la lettura del casellario giudiziale di Cavallini per rendersi conto della scelta deviante, fascista ed eversiva", ha detto il pm Gustapane. Scelta che nasce prima della strage, prosegue oltre attraverso sodalizi con militanti di rango di Ordine Nuovo, come Massimiliano Fachini, e si cementa nell'ideazione di attentati a magistrati, come quello non attuato al giudice trevisano Giancarlo Stiz, il primo a imboccare la pista nera per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Progetto omicida, questo, che fu affidato - in base alle parole di neofascisti come Sergio Calore e Luigi Presilio Vettore, poi assassinati entrambi - anche a Fioravanti.

Insomma, nell'impostazione in particolare delle parti civili, Cavallini sarebbe l'anello di congiunzione tra la generazione eversiva che ha dato vita e ha attraversato buona parte degli anni della strategia della tensione, raccolta poi dai più giovani sedicenti spontaneisti, tra i quali c'erano i Nar. Ma non solo. Torna l'ombra della loggia P2 di Licio Gelli (già condannato per i depistaggi nella strage), chiamata in causa per i rapporti intrattenuti dal neofascista Paolo Aleandri. E ancora, la testimonianza di ufficiali dei carabinieri come Mario Mori e Giorgio Tesser, che condussero i primi accertamenti sull'imputato e sui Nar.

Agguerriti i legali della difesa di Gilberto Cavallini, gli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini. Ne hanno dato prova fin dalle prime battute, quando all'apertura del processo sono state affrontate le questioni preliminari. La richiesta del collegio difensivo è stata secca: dichiarare inammissibili tutte 94 parti civili. Motivo: la mancata notifica della costituzione delle parti civili al Comune di Milano, tutore di Cavallini, a cui, in precedenti sentenze, era stata applicata la pena accessoria dell'interdizione legale.

Richiamandosi a principi civilistici, per il legale è stata negata una "efficace rappresentanza nel processo dell'imputato". Tra le risposte più efficaci, significativa è stata quella dell'avvocato Giuseppe Giampaolo, che nel processo rappresenta la Regione Emilia Romagna, il Comune di Bologna e alcuni familiari (del collegio con lui fanno parte Andrea Speranzoni, Nicola Brigida e Roberto Nasci). "I difensori di Cavallini", ha esordito, "erano regolarmente presenti in udienza preliminare e altrettanto regolarmente, credo, rappresentavano l'imputato. Per un principio di lealtà processuale, non capisco perché questa eccezione non l'hanno fatta a suo tempo. Di tempo se n'è già perso abbastanza". A chiudere la questione il presidente Leoni che, dopo una breve camera di consiglio, ha respinto la richiesta della difesa.

Ma gli avvocati di Cavallini non si sono fatti smontare. È stata riportata in causa la cosiddetta "pista palestinese", già archiviata nel 2015 insieme all'accusa di strage mossa al tedesco Thomas Kram. La riproposizione è stata stroncata dal pm Cieri perché ha una "rilevanza assolutamente nulla", smontata non solo dalle indagini più recenti, ma già dalle sentenze passate in giudicato. Stesso ping pong sulla riproposizione della testimonianza del terrorista d'origine venezuelana e di militanza filo-palestinese Carlos, al secolo Ilich Ramirez Sanchez. Per i difensori dell'imputato, avrebbe ancora molto da dire rispetto a quanto non ha fatto finora, dato che non è stato dato seguito alle sue richieste: prima essere ascoltato da una commissione parlamentare italiana e poi anche dalla magistratura italiana.

"Carlos non ha nulla da dire in generale e più in particolare sulla strage", ha aggiunto Cieri, che è andato a interrogare il terrorista oggi rinchiuso in un carcere francese. "Non conosce nulla di Kram e della strage di Bologna", se non per quello che - ha sostenuto Carlos - gli avrebbe detto una militante della sua organizzazione, Magdalena Kopp. Il problema è che lei, sentita dalla procura di Bologna, si è avvalsa della facoltà di non rispondere a nulla, se non all'ultima domanda, negando di aver mai avuto notizie a proposito dell'attentato italiano del 1980.

In conclusione, dunque, a breve si sapranno quali sono le prove e i testi ammessi dalla corte nel corso di un processo incandescente fin dalle sue battute iniziali e che si annuncia lungo, con udienze che si susseguiranno anche per un paio d'anni.

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