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caccia bruno web2L'avvocato Repici, "indagini fatte male o non fatte per nulla"
di AMDuemila
Dopo oltre 34 anni dall’assassinio del magistrato Bruno Caccia (in foto), sono stati ascoltati in Commissione Antimafia un famigliare del Procuratore di Torino. La figlia Paola Caccia e l'avvocato della famiglia, Fabio Repici, sono stati ascoltati oggi dal V Comitato della Commissione parlamentare Antimafia che si occupa di vittime di mafia. "E' stata la prima volta che un organo istituzionale ha sentito uno dei figli di Caccia, che non sono mai stati ascoltati dalla magistratura", ha spiegato l'avvocato Repici al termine dell'audizione. "Non è mai stato sentito il fratello di Paola, Guido, a cui pure nell'ultima conversazione il padre, in modo anomalo perchè non parlava mai di lavoro a casa, disse 'nei prossimi giorni succederà una cosa enorme, ne vedremo nelle belle'. Ma dopo la morte di Caccia non è accaduto nulla", ha aggiunto il legale, il quale ha fatto notare che "mai sono stati sentiti i colleghi della procura di Torino di Caccia, che avrebbero potuto riferire di eventuali pericoli avvertiti dal magistrato o eventuali confidenze da lui ricevute". La figlia del procuratore capo di Torino, ucciso il 26 giugno 1983, ha sottolineato lo stato d’isolamento vissuto in questi lunghi 34 anni. “Paola Caccia ha rappresentato oggi in Antimafia le scarse risposte della giustizia a proposito della ricostruzione dell'omicidio del padre - ha affermato infatti Repici - del grande isolamento in cui sono stati lasciati nel corso di oltre 30 anni, al di là di alcune vicinanze umane che ci sono state, come quella del magistrato in pensione Mario Vaudano, che ci ha fornito un supporto validissimo". L’avvocato difensore della famiglia ha inoltre evidenziato le molte lacune emerse anche da parte degli organi impegnati nelle indagini “Ho segnalato le inezie della procura di Milano nel fare le indagini - ha detto Repici - non sono stati neppure studiati i fascicoli di cui si occupava Caccia nel periodo antecedente il delitto. Ho segnalato che su una delle vicende di cui la procura di Torino si stava occupando allora, il riciclaggio del denaro delle mafie e la gestione dei casinò del nord Italia, nessun accertamento è stato fatto dalla procura di Milano, come se ci fosse un quadro da ricostruire di basso profilo, come se l'omicidio possa essere stato voluto da un capo clan calabrese ed eseguito da soggetti ancora sconosciuti". Di fronte all'unico caso di uccisione di un magistrato ammazzato dalle mafie a nord, il legale afferma che "le indagini sono state fatte male o non fatte per nulla come se si volessero perimetrare gli accertamenti allo stretto giro criminale di Domenico Belfiore (unico condannato come mandante dell'uccisione ndr) e Rocco Schirripa (attuale imputato per aver partecipato al delitto), come se ci fosse qualcosa di indicibile da non nominare". "Abbiamo rimediato a 34 anni di amnesia. Nonostante il fatto che l'omicidio del giudice Bruno Caccia, il 26 giugno del 1983, sia stato l'unico assassinio di un magistrato nel nord Italia in un momento storico particolarmente complesso per la contemporanea emergenza terroristica e mafiosa, mai la Commissione Antimafia aveva raccolto la testimonianza della famiglia, oggi rappresentata dalla figlia Paola Caccia e dall'avvocato Repici. Da ora e per lo meno, il punto di vista della famiglia Caccia è conservato in un atto parlamentare", ha osservato al termine dell'audizione il deputato Pd Davide Mattiello, coordinatore del V Comitato dell'Antimafia.

Fonte ANSA

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