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dalla chiesa carlo alberto c ansaL'audizione del procuratore Scarpinato in Commissione antimafia
di AMDuemila
L’ordine di eliminare dalla Chiesa arrivò a Palermo da Roma. Dal deputato Francesco Cosentino”. A dichiararlo, si apprende dal Fatto Quotidiano, è stato Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo, in occasione dell'audizione avvenuta lo scorso 8 marzo dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia in relazione ai legami mafia-massoneria.
Nell'ambito di quell'audizione, poi secretata, Scarpinato aveva detto di essere stato informato “di progetti di attentati, nel tempo, nei confronti di magistrati di Palermo orditi da Matteo Messina Denaro per interessi che, da vari elementi, sembrano non essere circoscritti alla mafia ma riconducibili a entità di carattere superiore”, descrivendo poi i legami tra Cosa nostra e logge massoniche, in particolare riguardanti i boss Stefano Bontade e Bernardo Provenzano, fino a Messina Denaro, sottolineando che già Bontade faceva parte di una loggia segreta “che era un’articolazione in Sicilia della P2 di Licio Gelli”.
Ora, dietro l'assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982 a Palermo insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, si staglierebbe la figura di Cosentino, deceduto nell'85 e vicinissimo a Giulio Andreotti, massone e democristiano oltre che personaggio di prim'ordine nella loggia P2. Tanto che la moglie di Roberto Calvi, Clara Canetti, alla commissione P2 di Tina Anselmi disse il 6 dicembre '82, che “Gelli era solo il quarto… Il primo era Andreotti, il secondo era Francesco Cosentino, il terzo era Umberto Ortolani, il quarto era Gelli”.
Un nuovo tassello emerge dunque sull'omicidio del generale, uomo integerrimo e dunque scomodo non solo a Cosa nostra, ma anche a ben altri ambienti di potere, ammazzato dopo soli cento giorni dal suo arrivo a Palermo in qualità di Prefetto, a cui erano stati promessi dal ministro Rognoni “poteri straordinari” in realtà mai conferiti. Forse perchè c'era chi temeva l'operato di dalla Chiesa, da lui stesso annunciato alla presenza di Andreotti quando, poco prima di partire per la Sicilia, gli disse: “Non avrò alcun riguardo per la parte inquinata della sua corrente”, tanto che il generale scrisse poi nel suo diario che il “Divo” Giulio “sbiancò”.
Per l’assassinio sono stati condannati all'ergastolo i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia e a 14 anni i collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. Sempre all'ergastolo sono stati condannati come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia lo stesso Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. La sera dell'omicidio, sul muro ancora sporco di sangue, qualcuno lasciò un lenzuolo con scritto “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. A distanza di 35 anni continuano ad emergere nuovi risvolti su quel delitto eccellente.

Foto © Ansa

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