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bosio sebastiano web1In appello ribaltata la sentenza di primo grado
di AMDuemila
Condanna all'ergastolo per il boss Nino Madonia e sentenza di primo grado completamente ribaltata. E' così che ha deciso la corte d'assise d'appello che ieri ha emesso la propria sentenza per l'omicidio di Sebastiano Bosio, il medico assassinato il 6 novembre del 1981. I giudici hanno dunque dato ragione alla ricostruzione dell'accusa, rappresentata in aula dal sostituto procuratore generale Domenico Gozzo che lo scorso novembre aveva chiesto la condanna, per cui "Madonia, nella sua qualità di reggente del mandamento di Resuttana, ha non solo eseguito l'omicidio ma lo ha anche organizzato e pianificato".
Tanti i collaboratori e i dichiaranti che lo accusavano. Durante l’interrogatorio il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, di recente, aveva confermato il motivo dell’uccisione: un intervento chirurgico non eseguito dal medico su un uomo d’onore. Al processo aveva testimoniato anche Massimo Ciancimino che aveva detto: "Mio padre mi disse di avere appreso dal suo amico Bernardo Provenzano che a uccidere il chirurgo Sebastiano Bosio nell'81 era stato Nino Madonia, lo stesso che uccise Libero Grassi. Tutta la mafia della zona era interessata agli appalti sia per l’edilizia sia per la fornitura di macchinari e strumenti medici. Bosio si era opposto ad alcune segnalazioni dell’onorevole Salvo Lima per gli appalti".
Altri moventi però, secondo i pentiti, avrebbero spinto Cosa nostra a eliminare il primario della Chirurgia vascolare del Civico. Per Marino Mannoia, "Pietro Fascella, uomo d’onore della mia famiglia (Santa Maria di Gesù ndr) ferito a un piede, era stato curato grossolanamente dal Bosio. Il piede andò in cancrena; anche Vittorio Mangano era stato operato da Bosio alle gambe per problemi circolatori e si lamentava per le cure ricevute".
I collaboratori di giustizia hanno spiegato anche che il medico non era un uomo "a disposizione di Cosa nostra". Così si sono espressi Francesco Onorato ("A me lo disse Salvatore Micalizzi, al bar Singapore. A ucciderlo fu Nino Madonia. Infatti Micalizzi mi disse: u dutture si futtio u dutture. Perché Nino Madonia veniva chiamato il dottore per la sua cultura”) e Francesco Di Carlo ("Bosio si era accanito a operare un certo Pietro o Pino Fascella che era stato colpito da un proiettile a un piede, e gli fu amputato. Secondo i mafiosi non c’era bisogno di amputarglielo, il dottore lo avrebbe fatto perché era contro Cosa nostra").
Il processo a Madonia è iniziato nel 2011 dopo la richiesta di rinvio a giudizio del pm della Dda Lia Sava, avanzata a seguito della perizia dei carabinieri del Ris sui proiettili utilizzati dai sicari. L'arma che fu usata per uccidere Bosio, una calibro 38, sarebbe infatti la stessa che sette mesi dopo, il 5 giugno 1982, fu utilizzata dal killer per uccidere due meccanici della borgata palermitana Passo di Rigano, Francesco Chiazzese e Giuseppe Dominici. Per quel duplice omicidio, Madonia è stato condannato. Il boss era già stato indagato per l'omicidio ma non si trovavano riscontri e l'inchiesta stava per essere archiviata. Il gip ha chiesto nuove indagini e sono venuti fuori i proiettili del delitto rimasti per anni dentro una cassaforte dell'istituto di Medicina legale del Policlinico. Le indagini sul caso Bosio erano state riaperte tra il '95 e il '96, per essere poi di nuovo archiviate. Il pm Sava le aveva riaperte nel 2005. Madonia è stato condannato anche al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili Rosaria Patania (moglie del medico) e le figlie Liliana e Silvia Bosio; l'ordine dei medici di Palermo. La liquidazione del danno sarà disposta in sede civile ma il collegio ha disposto una provvisionale di 200 mila euro per Patania e centomila euro per ciascuna delle altre parti civili.