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alpi hrov“Così mi chiesero di mentire”. Gli atti depositati al processo
di AMDuemila
Un verbale di centotrenta pagine, frutto di sei ore di interrogatorio, è stato depositato lo scorso 14 giugno davanti alla corte d’Appello di Perugia, dove è in corso il processo di revisione di Hashi Omar Hassan, ad oggi unico condannato per l’omicidio
di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti del Tg3 uccisi in un agguato a Mogadiscio nel 1994. Sono le carte dell’interrogatorio fatto ad Ahmed Ali Rage (detto Gelle), il somalo, portato in Italia nell’ottobre di diciannove anni fa dall’ambasciatore Giuseppe Cassini, che prima accusò Hashi Omar Hassan e poi, dopo essere intervistato da ‘Chi l’ha visto?‘ svelò di essere stato pagato per farlo.
Agli investigatori inglesi, che lo hanno ascoltato su rogatoria della Procura di Roma lo scorso aprile, Gelle ha rivelato che al contrario di quanto aveva sostenuto in precedenza non si trovava sul posto dell’agguato. Una dichiarazione che potrebbe sgretolare le basi dell’impianto accusatorio contro Hassan e mettere definitivamente in dubbio la sua colpevolezza.

Primo dato ad essere corretto è stato proprio il nome. Negli interrogatori italiani (quello della Digos e del pm Franco Ionta) risultava come Ahmed Ali Rage, ma in realtà si chiama Ahmed Ali Dahir. Ed è questo il nome utilizzato nel Regno Unito.
Per anni sull’omicidio è stata seguita la pista nata da un’informativa del 2006 dell’Interpol ma questa è risultata essere sbagliata quando, rintracciato da “Chi l’ha visto?” è venuta fuori la verità.
Ai microfoni della giornalista Chiara Cazzaniga Gelle ha infatti ritrattato la sua posizione e dicendo chiaramente: “Hassan non c’entra nulla, sono stato pagato dagli italiani per dirlo”.
Ed è su questo punto che ha fornito nuovi chiarimenti, specie quando gli vengono mostrati i verbali del 1997 agli atti dell’inchiesta. A riportare le sue dichiarazioni è il Fatto Quotidiano. “Non ho mai detto questo”, avrebbe detto. E quando gli mostrano la sua firma avrebbe aggiunto: “Io l’ho fatto così tanto per fare, non è la mia firma... ho firmato qualcosa ma non so cos’era”.
Gelle quindi ha ricostruito i fatti a partire dal momento in cui sarebbe stato agganciato dall’ambasciatore Cassini (che ha negato qualsiasi responsabilità): “Sono venuti due uomini – ha ricordato indicando due emissari somali di un collaboratore dell’ ambasciatore, tale ‘Washington’– mi hanno detto la storia della donna uccisa un po’ di anni fa, volevano quella storia. Uno di quei due uomini ha detto: digli che Hashi stava in macchina (l’auto del commando che uccise Alpi e Hrovatin, ndr)”.
Secondo il falso supertestimone Cassini gli avrebbe promesso persino un visto per l’Italia, ma su questo punto i ricordi sarebbero meno chiari: “Quando sono andato dal signor Cassini Washington mi traduceva e io non so se lo faceva bene, la prima volta avevo raccontato che la donna (Ilaria Alpi) era stata uccisa per questioni politiche e Washington ha detto che invece non era stata uccisa per questo motivo ma perché volevano rapinarla”. E su quest’ultima versione, secondo Gelle, sarebbe stato d’accordo anche l’Ambasciatore. In attesa di capire come saranno recepite le nuove rivelazioni dalla Corte presieduta da Giancarlo Massei il processo di revisione prosegue e le trascrizioni dell’interrogatorio sono state messe a disposizione delle parti. Nell’ultima udienza a Perugia il è stato sentito come testimone l’ex datore di lavoro di Gelle dipingendo il somalo come una persona “poco socievole”, che la mattina veniva scortato al lavoro dalla polizia. Hassan, che ora è affidato ai servizi sociali, era presente in aula insieme ai suoi legali. L’udienza riprenderà domani per l’audizione di altri testimoni.

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