“Al posto sbagliato”, il libro di Bruno Palermo e quei 108 nomi da tenere in vita
di Miriam Cuccu
Dimenticatevi la parola “onore” prima di aprire “Al posto sbagliato”, scritto da Bruno Palermo per Rubbettino editore. Cancellate dalla memoria l'immagine di una mafia d'altri tempi, quella dell'omicidio come extrema ratio, e guai a chi tocca donne e picciriddi. Quella mafia non è mai esistita, e i sedicenti uomini d'onore sono coloro che hanno smarrito anche l'ultimo barlume di coscienza, sostituito dalla cieca obbedienza agli ordini.
Non c'è umanità né onore nello strangolare il giovane Giuseppe Di Matteo dopo 779 giorni di prigionia, nello sbattere contro il muro la piccola Angelica pur di porre fine al suo pianto, nel rinchiudere in un bagagliaio per due settimane e poi avvelenare Emanuele, nella ignara Varese degli anni '70. Così è solo per un attimo di troppo, per un banale scambio di persona o per la maledetta traiettoria di un proiettile che l'allegria di Annalisa, la dolcezza di Gaetano o la tenera innocenza di Cocò in un attimo vengono spazzate via. E in un attimo il mondo di una madre, di un padre, di un amico si riduce in frantumi. Quegli oltre cento nomi continuano a persistere, come un marchio a fuoco o una dolorosa eco di un futuro sognato che qualcuno si è preso la briga di cancellare a cuor leggero.
C'è chi è figlio o nipote di boss, chi ha un fratello guardato a vista dalle forze dell'ordine, chi invece ha il padre magistrato o poliziotto. Non c'è colpa o differenza in questo. Al posto sbagliato non ci sono loro, bambini e adolescenti uccisi senza un vero perchè davanti casa, in auto, in motorino, in un campo da calcio, nelle campagne, da soli o in compagnia. A volte per quelle morti non si trovano neanche i responsabili, o ci sono ma restano impuniti. Come per Luigi, colpito a 10 anni dai proiettili della polizia e lasciato per ore sotto un lenzuolo a bordo strada prima di essere portato all'ospedale più vicino. Quando già era troppo tardi.
Ogni breve storia (a volte proprio perchè sono pochissimi gli elementi per ricostruire i fatti) è un boccone amaro da mandare giù, insieme al doloroso desiderio di trovare tra le ultime righe un finale diverso che non arriverà.
Bruno Palermo quasi in punta di piedi riporta in vita il ricordo di quelle ferite e anche di ciò che è stato dopo. Come la scelta dei genitori di Nicholas, colpito da un proiettile a 7 anni, i cui organi sono stati donati a quanti ne avevano bisogno. O di chi ha fatto della propria vita una testimonianza a cuore aperto girando per le scuole e le città d'Italia. Dal 1896 (anno in cui fu uccisa la 17enne Emanuela) a pochissimi anni fa (il 2014, quando il piccolo Domenico di due anni e mezzo viene colpito in pieno volto da un proiettile) la processione di bare bianche porta con sé una pesante eredità che abbiamo il dovere morale di accogliere, insieme a degli interrogativi: “al posto sbagliato” ci sono veramente solo assassini e mafiosi? O anche chi tacitamente accetta che qualcuno (che a volte è poco più di un adolescente) possa amministrare la vita e la morte di chi va invece curato e protetto? A quei 108 nomi e alle molte vite che verranno dobbiamo una risposta, e una terra diversa.