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Al Csm scoppia il caso sulle dichiarazioni dell’ex Gip di Palermo che ora rischia un provvedimento disciplinare

Un’intervista che non è un’intervista. Una polemica che monta sulle parole “dette” o non “dette” e che tornano ad alimentare quello scontro istituzionale che vede da una parte la politica e dall’altra la magistratura. Stavolta però non sono le dichiarazioni del presidente dell’Anm Piercamillo Davigo, che nelle scorse settimane ha detto la sul fenomeno della Corruzione e sui silenzi della politica, ma quei pensieri che avrebbe espresso il magistrato Piergiorgio Morosini, membro togato del Csm ed esponente di magistratura democratica. “Perché Renzi va fermato”, era scritto a caratteri cubitali su Il Foglio. Poi nel sottotitolo si aggiungeva: “‘C’è il rischio di una democrazia autoritaria’. Il magistrato Morosini, consigliere del Csm, Md, vuota il sacco con il Foglio e spiega da dove nasce lo scontro tra Renzi e le Procure”.

La versione de Il Foglio
Secondo quanto riportato dal quotidiano, parlando del referendum sulla riforma costituzionale, che vede la sua corrente schierata per il “no”, Morosini avrebbe detto parole pesanti: “Se passa la riforma costituzionale abbinata all’Italicum il partito di maggioranza potrà decidere da solo i membri della Consulta e del Csm di nomina parlamentare. Renzi farà come Ronald Reagan, una bella infornata autoritaria di giudici della Suprema Corte allineati con il pensiero repubblicano su diritti civili, economia… uno scenario preoccupante”. Nell’intervista,che poi anche lo stesso giornale ha ammesso essere un colloquio, si attribuiscono al magistrato anche giudizi piuttosto duri nei confronti di esponenti del governo come Luca Lotti e Maria Elena Boschi (“mestieranti buoni a gestire il potere”, virgoletta il Foglio) ed anche su colleghi di rilievo, come il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone e il neo procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Che sarebbero stati giudicati come, “uomini di Mondadori” (entrambi pubblicano saggi per la casa editrice di Segrate, ndr)”. E “quando firmi libri Mondadori, l’azienda ha interesse a trasformarti in un personaggio per vendere più copie. Ti invitano in tv, diventi un volto noto e poi la politica ti chiama”.

La smentita
Immediata è arrivata la smentita del magistrato, sia tramite twitter che con una nota ufficiale. Morosini ha spiegato che si trattava di un “colloquio informale riportato in maniera scorretta” con la giornalista, Annalisa Chirico. Colloquip che riguardava un’inchiesta su Magistratura democratica. “Mi sono state attribuite delle affermazioni che non ho mai fatto e dalle quali prendo con nettezza le distanze. Prima fra tutte quella che dà il titolo all’intervista: non ho mai detto ‘Renzi va fermato’”. Poi ha ancora ribadito: “La vicenda mi ferisce perché mi sono state attribuite frasi incomplete, parole che non ho detto e che travisano un colloquio informale, che era partito con la premessa da parte mia che non si trattava di dichiarazioni pubbliche”.
Da sempre l’ex Gip di Palermo è noto per il suo modo moderato di esporre le proprie posizioni in materia di giustizia ed anche per questo quell’articolo del Foglio, pubblicato i giorni scorsi, aveva lasciato stupiti.
Intervenuto a Radio Capital Tg Zero, il presidente dell’Anm Davigo si è espresso sulla questione credendo alla versione di Morosini: “Io credo che bisogna prestare fede alla smentita visto che ha negato di aver fatto l’intervista al Foglio. E’ vero però che la corrente a cui appartiene Morosini ha scelto di schierarsi per il ‘no’ al referendum costituzionale. L’Anm a riguardo non ha ancora preso una posizione, quando prenderemo una posizione lo diremo. Io sono presidente dell’Anm, quindi non posso esprimere la mia opinione personale, perché sarebbe indistinguibile da quella di presidente”.
In un secondo momento è poi arrivata la nota della giunta esecutiva centrale del sindacato delle toghe che, pur ribadendo “il diritto del singolo magistrato di esprimere le proprie opinioni”, “ritiene che si tratti di dichiarazioni che, se confermate, risultano per alcuni aspetti inopportune e ingiustificate e per altri riguardanti temi e argomenti non di pertinenza di un rappresentante dei magistrati presso l’organo di governo autonomo e che incidono sul prestigio della magistratura e sul leale rapporto tra i poteri e gli organi dello Stato”.
Una presa di distanze netta, così come dura è la posizione del ministro della Giustizia Andrea Orlando ha subito chiesto un chiarimento al vicepresidente del Csm Giovanni Legnini dando il via al più classico degli scontri politica-magistratura: “Se alcune quelle parole e alcune quelle espressioni risultassero in qualche modo confermate, sarebbero in aperto contrasto con lo spirito di lealissima collaborazione che fin qui ha ispirato i rapporti tra Governo e Csm”.
Dopo la reazione dell’Anm, Morosini è tornato sul punto, rinforzando la smentita diffusa in precedenza. Che “non riguarda solo il titolo della presunta intervista, ma i contenuti del colloquio informale”. In particolare, aggiunge, “il testo pubblicato sul ‘Foglio’ non rappresenta il mio pensiero, né su presunte opinioni politiche contro il governo, né su giudizi personali relativi a rappresentanti delle istituzioni o colleghi, e neppure sulle dinamiche operative del Consiglio superiore della Magistratura. Lo avevo già detto esplicitamente nella nota inviata ieri mattina alle agenzie, ma ritengo utile ribadirlo per fugare ogni dubbio in proposito”.

Perché creare un caso Morosini?
Da anni a livello istituzionale il profilo scelto dai vertici del Consiglio superiore della magistratura e dall’Associazione nazionale magistrati si è scelto un profilo piuttosto basso. Con l’arrivo di Davigo il vento è cambiato ma il clamore mediatico che si è scatenato rispetto alle parole “dette o non dette” dall’ex Gip Morosini induce ad alcune riflessioni non tanto sul contenuto del colloquio, per cui si è di fronte a due versioni (quella del giornalista e quella del togato) da cui difficilmente è possibile risalire alla verità, ma sul dato dell’appiattimento critico in vista del referendum.
Si chiede alla magistratura uno spirito di collaborazione e di rispetto istituzionale. Quando vi sarà lo stesso da parte della politica? E’ un dato di fatto che ciò non avviene. Basti pensare al recente episodio che ha visto il premier Matteo Renzi intervenire dopo l’ennesima inchiesta subita da qualche membro del suo partito o del suo governo, puntando il dito contro la magistratura arrivando a parlare di “barbarie giustizialista” anziché prendere le distanze da chi è accusato di aver commesso certi reati. Ma questa è l’uniformità di pensiero che piace tanto alla nuova politica. Uniformità che si evince nelle parole del vice presidente del Csm Legnini, sempre in merito al caso Morosini. Se comprensibile può apparire il “richiamo” rispetto ai riferimenti sui colleghi togati e sui rappresentanti istituzionali, non si può non registrare forse quello che è il vero “nodo” della questione. “Non è opportuno - ha detto - che un consigliere del Csm partecipi a una campagna politica, come quella sul referendum costituzionale”.
E’ questo il punto. E’ qui, sulla riforma della Costituzione, che si giocherà la partita del futuro del nostro Paese. L’ultima sfida dove in gioco è la nostra democrazia. E il messaggio per tutti i magistrati è già passato. Restate in silenzio, sia in pubblico che in privato o il provvedimento disciplinare sarà dietro l’angolo.

Foto © Ansa

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