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conferenza reggio emiliaPer Gratteri “Mafia in Europa come una prateria dove tutti pascolano”
di AMDuemila
E' un centor Malaguzzi “blindato” dalle forze dell’ordine quello che ha ospitato il convegno “Contro le mafie in Italia ed Europa: quali rischi, quali norme”, uno degli incontri conclusivi del festival “Noicontrolemafie”, organizzato dalla Provincia di Reggio Emilia, in collaborazione con diversi Comuni. Di fronte ad oltre 200 studenti delle superiori magistrati come Nino Di Matteo, Nicola Gratteri e Francesco Del Bene hanno potuto esprimere una propria riflessione, introdotti dal direttore scientifico del festival, Antonio Nicaso, sul rapporto mafia-classe dirigente.
Dopo il saluto di Elia Minari, coordinatore dell’associazione Cortocircuito, che ha ricordato come la repressione della mafia dei “colletti bianchi” necessiti di norme e strumenti ogni giorno più raffinati la manifestazione è entrata nel vivo. Fra i relatori, oltre al procuratore aggiunti di Reggio Calabria ed ai due sostituti procuratori di Palermo, anche il presidente della Provincia, Giammaria Manghi, il sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, e il consigliere della Corte d’appello di Palermo, Mario Conte.
Nicaso, scrittore e studioso di mafie, ha ricordato come “la storia delle mafie sia una storia di violenza di relazioni e di patologia del potere, e dunque anche di trattative con la classe dirigente come si conviene a un fenomeno reazionario e non rivoluzionario, che sta dalla parte dei forti e dei ricchi”. “Purtroppo anche l’antimafia risponde a logiche di potere - ha continuato - E' auspicabile l’abolizione delle correnti nel Consiglio superiore della magistratura, perché troppo spesso si è sacrificato il valore di tanti giudici sull’altare delle appartenenze e gli uomini liberi, senza legami, fanno purtroppo fatica ad emergere”. In quanto al tema del dibattito, “la nostra legislazione antimafia è una legislazione d’emergenza, nata sull’onda emotiva di stragi e attentati, è ampiamente migliorabile, ma è comunque meglio del nulla prodotto da un’Europa in cui credevo, ma che mi ha profondamente deluso dopo aver visto che a Bruxelles, due anni di impegno mio, di Gratteri e di tanti altri, non hanno prodotto il minimo risultato…”.

Europa miope
Non usa mezzi termini Nicola Gratteri quando deve affrontare il tema. Così è emerso che dal punto di vista dell’attività mafiosa, l’Europa è messa peggio dell’Italia. Perché è una “grande prateria senza controllo”. “All'interno di questa chiunque può pascolare - sostiene il magistrato - dove non c’è controllo del territorio e la polizia giudiziaria è di non grande livello, specie in confronto a quella italiana che è la migliore al mondo perché ancora incentrata sulla cultura dell’investigazione, mentre altrove gli investigatori preferiscono fare i compratori di notizie”. Secondo il pm di Reggio Calabria, dunque, l'Europa “è piena di mafiosi che vendono cocaina e con quei soldi sporchi acquistano tutto ciò che è in vendita. Sono in Germania, Belgio, Olanda, Francia, Portogallo e Svizzera, non spargono sangue e non creano allarme sociale e per loro è più facile operare, perché non esistono una Procura federale e una legislazione antimafia in un’Europa che è solo bancaria e monetaria, priva di una politica comune che si preoccupi di sicurezza”. Allo stesso modo, attacca il procuratore, “i politici europei non si interessano della mafia, perché l’opinione pubblica non è informata e non protesta, se non quando la ‘ndrangheta commette errori come la strage di Duisburg, non ammettono di avere le mafie per non scoraggiare gli investitori”.
Secondo il pm Francesco Del Bene “in Europa siamo all’anno zero nel contrasto alle mafie e purtroppo gli ultimi gravissimi attentati terroristici porteranno ad abbandonare molte indagini, che in Italia hanno invece raggiunto livelli eccellenti”.
“L’impegno della politica, in Italia, si nota e non si nota - ha aggiunto uno dei pm che indaga sulla trattativa Stato-mafia - le leggi approvate, anche se buone, spesso in realtà comportano solo problemi a investigatori prima e ai giudici poi. Speravo che il Governo Renzi nominasse Gratteri ministro, perché è un magistrato conosce la realtà dei problemi e soprattutto i rimedi per affrontare la criminalità”.

Disattenzione mediatica
Del Bene ha anche espresso un proprio parere sull'intervista al figlio di Riina andata in onda su “Porta a Porta”. “Un obbrobrio sulla tivù Stato, che mi ha indignato non tanto per per quanto detto dal figlio del boss, ma per l’atteggiamento della stampa che non ha incalzato adeguatamente l’interlocutore”. E proprio per rimarcare lo scandalo di certo giornalismo il pm ha anche ricordato l’esempio di Mauro Rostagno, il giornalista “torinese figlio di operai ucciso dalla mafia nel 1988, che ha dimostrato un coraggio tremendo, specie se raffrontato con i troppi giornalisti oggi proni al sistema politico e a agli indagati”. Una critica, inoltre anche per l'informazione in generale che dimostra “un'attenzione pari a zero della stampa nei confronti dei processi di mafia”.

Magistratura e politica
Grande attenzione c'è stata anche per l'intervento per il pm Nino Di Matteo: “Mi spaventa sentire sempre più affermare a vari livelli istituzionali, anche alti, che un magistrato deve valutare le conseguenze della propria condotta a livello politico, o definire inopportune certe sentenze pure giuridicamente ineccepibili”. “La nostra indipendenza - ha aggiunto - non è un privilegio di casta, ma garanzia di libertà per tutti i cittadini contro gli attacchi dei tanti che vorrebbero trasformarci in burocrati attenti a non disturbare il potere. Ma anche noi magistrati dobbiamo rifuggire la strisciante tentazione di decidere la nostra condotta secondo criteri di opportunità politica”.
Di Matteo si è quindi rivolto ai giovani ricordando come “purtroppo questo Paese sta sempre più perdendo la sua memoria e la capacità di indignarsi, quindi di fronte a questa pericolosa rassegnazione, iniziative come 'Noicontrolemafie' mi riempiono il cuore, mi fanno sperare che questo andazzo cambi, nonostante tutto e nonostante tanti, perché resiste una quota importante di cittadini e di associazioni che, con entusiasmante passione civile, dimostrano di avere a cuore la verità, la giustizia e la democrazia”.
“Il contrasto serio alle mafie dovrebbe essere il primo problema di un Paese perché l’incidenza della mentalità mafiosa investe le nostre istituzioni e riguarda tutti noi - ha proseguito - Noi magistrati dobbiamo ricordarci sempre che siamo al servizio della collettività, dobbiamo avere indipendenza, coraggio e decisione nel garantire i diritti costituzionali, a partire dal fatto che la legge è uguale per tutti. La nostra indipendenza non è un privilegio di casta, ma garanzia di libertà per tutti i cittadini contro gli attacchi dei tanti che vorrebbero trasformarci in burocrati attenti a non disturbare il potere. Ma anche noi magistrati dobbiamo rifuggire la strisciante tentazione di decidere la nostra condotta secondo criteri di opportunità politica e non in base alla doverosità del nostro agire. E mi spaventa sentire sempre più affermare a vari livelli istituzionali, anche alti, che un magistrato deve valutare le conseguenze della propria condotta a livello politico, o definire inopportune certe sentenze pure giuridicamente ineccepibili”.

Ricordando le sentenze
“Nel Dna della mafia - ha aggiunto il pm palermitano - da sempre c’è la ricerca esasperata e metodica del rapporto con gli altri poteri, perché in assenza di questi legami la mafia non sarebbe mai diventata così potente. Lo Stato, invece, a partire dalla politica, non ha dimostrato la consapevolezza speculare e contraria della necessità di recidere i rapporti tra potere e mafia per sconfiggerla: per questo, pur avendo vinto tante importanti battaglia, non intravediamo la vittoria della guerra alle mafie. Eppure basterebbe leggere le sentenze definitive, come quella del processo Andreotti o quella su Dell’Utri in cui si parla del patto di cui fu mediatore, e che venne rispettato dal 1974 al 1992 tra i vertici delle famiglie palermitane e l’allora imprenditore Silvio Berlusconi, che nonostante ciò ancora due anni fa era interlocutore politico del governo e delle istituzioni anche per riformare la nostra Costituzione…”.

L'importanza del concorso esterno
Per il pm di Palermo bisogna dunque “avere il coraggio della verità e di ricordare fatti che nessuno vuole più ricordare, ma serve anche un cambio di mentalità: bisogna abbandonare il pregiudizio culturale che giudica più grave l’appartenenza mafiosa del concorso esterno da parte di chi, consapevolmente, collude con la mafia: perché prestigio e potenza criminale si accrescono molto di più con l’apporto di esterni che non con l’affiliazione di tanti adepti”. Anche per questo, secondo Di Matteo, “è inaccettabile l’attuale sistema normativo a doppio binario”, così come la riforma dell’articolo 416-ter sul voto di scambio rappresenta una “grandissima occasione persa, prevedendo pene più contenute rispetto al 416-bis e, dunque, giudicando meno grave il fatto che un candidato consapevolmente chieda i voti della mafia promettendo e poi rendendo favori…”.
Secondo il magistrato sarebbe da rivedere anche la legislazione “ancora gravemente carente per fenomeni corruttivi che si intrecciano tra politica e mafia”, ed è “scandaloso il fatto che più del 95% dei processi per reati contro la pubblica amministrazione cada in prescrizione, che è la mortificazione più inaccettabile degli sforzi di magistrati e investigatori, dei diritti delle vittime e dei cittadini che chiedono giustizia”.
Ha chiuso l’intensa mattinata il consigliere di Corte d’appello del Tribunale di Palermo Mario Conte che ai ragazzi ha ricordato l'importanza che “ognuno di noi sia testimone di quello che succede a partire da ciò che non va”. “Informare è importante - ha detto - ma ancora di più è il gioco di squadra, perché come ci insegna il basket un quintetto di cinque giocatori di medio livello batterà sempre una formazione composta da una star e da altri quattro che non giocano come squadra…”. Infine ha concluso con un appello: “La lotta alla mafia dovrebbe essere la priorità in un Stato civile, ma purtroppo viene considerata un impaccio, una sorta di fastidio, non solo dalla politica, ma anche dalla informazione. Dobbiamo allora scendere in campo quotidianamente, abbiamo un dovere che non nasce dalla nostra attività, ma dallo svolgere una funzione fondamentale: quella di genitore e uomo, non di magistrato o di politico”.
  

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