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delucia maurizio c imagoeconomicaIl magistrato che indagò e condannò il figlio del “Capo dei capi”
di AMDuemila
Nell’intervista di ''Porta a Porta'' a Giuseppe Salvatore Riina “è emerso quello che interessava all’intervistato”. A dirlo è Maurizio de Lucia, oggi sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, uno dei magistrati che indagò e condannò Salvo Riina per associazione mafiosa. “L’inchiesta - ha raccontato in un’intervista a Repubblica - puntava su un gruppo di giovani che apparivano parecchio intraprendenti dal punto di vista criminale e imprenditoriale”. E in questo contesto il figlio di Riina, pochi giorni fa andato in onda a “Porta a Porta” nonostante le polemiche fioccate da più parti, al tempo “era il punto di riferimento di quel gruppo” e nelle conversazioni registrate dagli inquirenti si esprimeva “con modi bruschi, ma poi agiva in modo molto raffinato”. Ad esempio, ha continuato il magistrato, “attraverso alcune società puntava al controllo di una serie di lavori all’interno del porto e con una rete di complici curava complessi meccanismi di riciclaggio”.

Nel giugno del 2002 Salvo Riina, allora 25enne, viene arrestato a Corleone insieme ad altre 21 persone con l’accusa di associazione mafiosa. Al terzo dei quattro figli di Totò Riina veniva contestato il ruolo (ormai acclarato dalla condanna) di prim’ordine all’interno dell’organizzazione criminale, che gli consentiva di dare ordini tanto agli altri affiliati quanto agli imprenditori. Per la Procura di Palermo (i procuratori aggiunti Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte, insieme al pm Roberta Buzzolani e allo stesso de Lucia) Giuseppe Salvatore stava cercando di portare avanti “le idee criminali” del padre, sostenendo “l’ala dura dei corleonesi”.

“La sentenza - ha ricordato de Lucia - ha condannato il figlio di Riina per essere stato capo e promotore di quel gruppo, con una grande capacità di intessere relazioni di un certo livello a livello sociale e imprenditoriale”. E poi, riferendosi alla contestatissima intervista di Bruno Vespa a “Porta a Porta”: “Il giovane Riina fa passare suo padre come persona normale, per dire che tutti i mafiosi sono personali normali, non criminali. E tenta di mettere Cosa nostra sullo stesso piano dello Stato”. Poi, riferendosi alle parole intercettate del figlio del boss nel 2001, passando davanti al luogo in cui scoppiò la bomba a Capaci: “Non erano dei commenti in libertà”, bensì “la condivisione di una strategia ben precisa, che non rinnegava affatto la stagione delle bombe”. In quell’occasione, Giuseppe Salvatore Riina aveva detto: “Un colonnello deve pigliare una decisione. E la decisione fu quella: abbattiamoli”. E riferendosi al monumento in ricordo dell’eccidio: “Ci mettono ancora i fiori a ‘stu cosu”.

“Nelle sue parole - ha commentato ancora de Lucia parlando dell’intervista in cui Salvo Riina pubblicizza il suo libro, appena uscito - si leggono dei messaggi. Ci descrive suo padre a casa”. Non solo, perché il figlio di u’ curtu punta “a fare apparire normali tutti gli uomini di Cosa nostra. È il suo primo obiettivo”. Per poi attaccare i pentiti: “Continua a ribadire un concetto evidenziato da suo padre venticinque anni fa, che i pentiti vengono riempiti di soldi e non fanno un solo giorno di galera. In realtà, la legge regola il sistema in maniera rigorosa. Riina insinua che lo Stato ha giocato sporco, quasi fosse alla stregua di Cosa nostra”.

Foto © Imagoeconomica

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