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battaglia anthologia c acfbFotogallery
di Lorenzo Baldo
La magia di una mostra e di uno spettacolo in onore di una grande fotografa
Palermo
. “A cosa serve una grande profondità di campo se non c'è un'adeguata profondità di sentimento?”. Con le parole del grande fotografo americano Eugene Smith si entra a piccoli passi nella prefazione del libro fotografico di Letizia Battaglia “Anthologia” ad opera del curatore dell'omonima mostra Paolo Falcone. Tenendo bene a mente quelle parole si accede allo spazio immenso dello ZAC, ai Cantieri Culturali alla Zisa, dove le fotografie di Letizia vengono esposte: sospese, immobili, in attesa di prendere vita nei pensieri di chi le osserva. Un'ora prima dell'inaugurazione c'è il tempo per immergersi totalmente nel bianco e nero di quei volti che ti fissano da molto lontano. “Letizia fotografa con un grandangolo – scrive Paolo Falcone nella prefazione –. Per poter raccontare con le sue immagini, ha bisogno di essere esattamente dove si svolge la scena. E’ sempre in prima fila, a stretto contatto con l’elemento da rappresentare. Che possa essere un morto ammazzato, un arresto, un convivio tra politici, una festa popolare. Prende calci, pugni, sguardi violenti e minacciosi, insulti e improperi ma si impone con la sua piccola e agile fisicità e la sua grande energia. Ma ne rimane segnata. Da quegli sguardi, da quegli odori acidi, dal sapore aspro e pungente del sangue, della morte, della sofferenza, della disperazione”. Osservi la violenza di quelle immagini, il dolore, la disperazione, la morte, ma anche la vita, la purezza, la gioia e cerchi di immaginare cosa può aver provato chi ha vissuto quei momenti. “Letizia riesce sempre a marcare in modo poetico quelle forti tensioni offerte dalla realtà – continua Paolo –. Intimità e relazioni umane profonde con le quali stabilisce contatti, misura distanze, crea un’esperienza viva e dinamica dal forte senso di responsabilità, che tocca i temi più intimi dell’esistenza umana. Non costruisce le storie, le evoca e le offre al fine di porre quelle basi di misurazione del mondo nei quali coniuga il suo forte senso di giustizia con il suo grande desiderio di amore e libertà e questo lo trasforma in arte. Grazie Letizia”. Quel ringraziamento diventa corale. Le persone arrivano a frotte, attratte dall'energia di questa donna che ha lottato con tutta se stessa per vedere rinascere la sua città. Curata nei minimi particolari, la mostra emoziona, fa riflettere e colpisce duro. Su una grande parete viene proiettato il film-documentario su Letizia Battaglia “Palermo amore amaro”. Le sue parole aprono varchi tra quella che è la realtà e quello che non si vuole vedere. La gente l'abbraccia, le chiede di firmare una copia di alcune sue fotografie, c'è chi scatta qualche foto, lei saluta tutti con l'entusiasmo di una ragazzina, mentre i forti dolori alla schiena non le danno tregua. Ma per quelli c'è tempo. “Ho sempre pensato a me stessa come una creatura libera, sia da ragazza che da donna adulta – aveva detto qualche anno fa alla sua amica Melissa Harris –, ho sempre sentito di avere diritto alla libertà. Ho vissuto tutti gli anni della mia vita con questa idea”. Che, oggi più che mai, vibra forte nel giorno del suo 81° compleanno. Al sindaco di Palermo viene chiesto subito se il Comune riuscirà a mantenere la promessa di aprire entro Pasqua il Centro Internazionale di fotografia. Orlando si fa pensieroso e ammette le “difficoltà” che minano alla consegna del Centro entro quella data. Poi afferra un microfono e avvolge di auguri e ringraziamenti Letizia. Che, frastornata, ma felice, abbraccia con lo sguardo quel popolo multicolore venuto a renderle omaggio.


Alla ricerca del Caravaggio rubato
Ti entra dentro, ti scuote, ti colpisce e per un attimo ti lascia a terra. E' la musica potente del violoncello suonato dal Maestro Giovanni Sòllima che accompagna le parole forti del giornalista Attilio Bolzoni mentre sul maxi schermo scorrono le fotografie di Letizia Battaglia in una prospettiva tutta nuova. E’ la prima assoluta dello spettacolo sul “Caravaggio rubato”. Sul palco del Teatro Massimo un coro appassionato intona melodie che si fondono con l’armonia dell’orchestra, in totale simbiosi. Il pubblico resta rapito dal racconto di una storia che non è ancora finita. Perchè quel “Caravaggio rubato” non si sa che fine abbia fatto, e quel quadro scomparso è un vero e proprio paradigma della città di Palermo “dove si ruba di tutto, anche gli uomini come Mauro De Mauro”. Sullo schermo la foto di una donna che sta partorendo si ingrandisce lentamente in una slow-motion che pare non finire mai. Nel frattempo la musica avvolge interamente quell’atmosfera rarefatta. E’ come se il violoncello suonato dal Maestro Sòllima si reggesse da solo. In una sorta di trance il compositore sussulta nelle stesse note che si elevano nell'aria. Squarci di luce che si liberano dalle foto di Letizia Battaglia illuminano a tratti l'oscurità del Teatro. E poi c'è quel rumore dell'acqua. Costante. Che, come una presenza agognata, accompagna le parole di Bolzoni (“io l'ho sempre cercata l'acqua...”) mentre affonda i suoi ricordi di giovane cronista che andava a scoprire la mafia sporcandosi le scarpe nel sangue dei tanti morti ammazzati. Uccisi in quanto ritenuti dal codice mafioso privi di “dignitudine”. Nel suo racconto c'è il ricordo di quel padre che si fa spazio tra la folla per far vedere il morto di turno ai suoi due figlioletti. “Talìa, talìa... guarda, guarda”.  Sullo schermo cominciano a scorrere velocissime altre immagini in bianco e nero: bambini che corrono, Giovanni Falcone al funerale del gen. dalla Chiesa, e poi ancora dolore, di giorno, di notte, con i volti di personaggi noti o sconosciuti. Il rullo dei tamburi è incessante, l'adrenalina cresce, il ritmo non accenna a diminuire. Poi d’un tratto: la calma. Apparente. Bolzoni racconta dei suoi anni a l'Ora di Palermo: i vecchi cronisti immersi in nuvole di fumo, Letizia che si aggira in redazione con le sue lunghe gonne. La tragedia dei migranti affogati a Lampedusa il 5 ottobre 2013 entra prepotentemente sulla scena. “Sono 368 le bare”, ricorda il cronista. Ed è il termine “presumibilmente” ad accompagnare quella descrizione che ci mette spalle al muro. Perchè quando un disperato muore senza un nome e una storia diventa:  un maschio, o una femmina “presumibilmente” di 30 anni, nero. E allora tutto ciò che ruota attorno a noi viene contrassegnato da quell'avverbio: dalle tragedie ai misteri. “Presumibilmente – ricorda Bolzoni – è la parola che mi ha trasportato dai misteri dell’acqua ai misteri di un quadro alla Kalsa, all’oratorio di San Lorenzo, davanti a quel muro dove presumibilmente la mafia l’ha rubato, dove presumibilmente il povero Mauro De Mauro aveva avuto qualche sospetto sul ritardo con il quale le custodi, Emilia e Maria Gelfo avevano dato l’allarme sul furto. Le sorelle Gelfo… che presumibilmente non erano parenti di quella Rosa Gelfo che era l’ostetrica che aveva fatto nascere in latitanza quei quattro bambini figli del capo dei capi Maria Concetta, Giovanni Francesco, Giuseppe Salvatore e Lucia Riina nella stessa clinica, nella stessa stanza buia, allo stesso piano dove è nato mio figlio Carlo davanti a un bellissimo giardino e a un passo da piazza Politeama”.

Il legame tra la Sicilia e l’Argentina è racchiuso nel racconto successivo sul vecchio cronista del Clarin che dopo essere intervenuto pubblicamente per spiegare la regola del giornalismo delle 5 w:  Who? (Chi?), What? (Che cosa?), When? (Quando?), Where? (Dove?) e Why? (Perché?) si ritrova a dover rispondere a un ragazzino di 15 anni. Kiki gli contesta che in quella trincea dove vivono vale unicamente la regola delle 5 p: Perchè? Perchè? Perchè? Perchè? Perchè? “Quel giorno ho capito che Buenos Aires non è era così lontana da Palermo”, rivela Bolzoni. Il video di Letizia mentre fotografa la nipote adolescente riempie lo schermo in un istante. L'innocenza di Marta si scontra violentemente con l’immagine opaca dei vicoli di Palermo dentro i quali si perde. Su di lei veglia lo sguardo attento della bambina con il pallone. Occhi che si sovrappongono ad altri occhi. Del Caravaggio rubato non si saprà nulla per chissà quanto tempo. “Perché Palermo rimescola. Perché rovista dentro di sé e rovista dentro di te. La bellezza di Palermo è andare incontro a Palermo. Che ti costringe a guardarti dentro. Che ti lascia nell’incertezza. A volte, nell’inquietudine. A volte, nella felicità”.
Standing ovation dal pubblico. Sul palco il coro intona “tanti auguri” per questa donna caparbia capace di rimettersi in gioco un’altra volta per la sua Palermo. Per quell’umanità che sente così tanto vicino a lei.

Fotogallery © Rosellina Garbo
“Il Caravaggio rubato”

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Info: www.letiziabattaglia.com