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marino ignaziodi Pietro Orsatti
Il colpo di scena c'è stato. Il sindaco marziano davanti al suo popolo, 3000 persone che questa mattina hanno invaso piazza Campidoglio per chidere a Ignazio Marino di ritirare le dimissioni, si è sbilanciato e ha lanciato il guanto di sfida al suo ormai ex partito, il Pd, e alla politica capitolina tutta che fin dall'inizio del suo mandato lo ha considerato un corpo estraneo. Citando Guevara -"Noi siamo realisti e vogliamo l'impossibile"-, ma tenendo tutte le opzioni aperte ha di fatto annunciato che non deluderà chi sta chiedendo da settimane di ripensarci e di ritirare le dimissioni prima della scadenza irrevocabile del 2 novembre.

Non li deluderà. Cosa significa? Che vuole andare alla conta in consiglio comunale? Che sono cambiati gli equilibri in quell'aula Giulio Cesare che malamente lo ha tollerato per due anni e mezzo? Oppure sta valutando di lanciare una propria lista civica che dimezzerebbe, di fatto, il voto del Pd capitolino consegnando la città a un ritorno della destra guidata da Giorgia Meloni oppure la vittoria del M5S. Oppure quella prima uscita pubblica del suo ex vice sindaco, Luigi Nieri, confuso ma non troppo nella folla esultante, riapre la conta dei voti su cui potrebbe contare in consiglio comunale e un cambio radicale di rotta di Sel che si rimetterebbe in gioco insieme a un pezzo importante della lista civica e soprattuto del Pd non "renzianizzato".
Lo abbiamo raggiunto, Nieri, fra la folla. Abbottonato sulla vicenda che lo ha costretto alle dimissioni durante l'estate, ma secco nella valutazione di questa domenica 25 ottobre: "come lo abbiamo sostenuto all'inizio ancora di più lo sosterremmo ora". Noi Sel? A quanto pare si. Nieri non è persona che non sappia pesare le parole. Come non le ha pesate un esponente del Pd,  il parlamentare Pd Marco Miccoli ex segretario romano e da sempre considerato molto vicino al sindaco: "Marino ha sempre sofferto il rapporto con il partito e non è stato sostenuto a dovere. Il sindaco sta pensando di andare in Aula e chiedere la fiducia. Costringendo il Pd a votargli contro insieme alla destra. Combatterà fino alla fine". E combatterà probabilmente dopo aver rifatto per bene i conti sui voti su cui potrà contare.
Ma è ancora nelle parole di Marino che si trovano molte delle risposte alle tante domande che attraversano la piazza - e la città - sul destino della Capitale nei prossimi mesi e soprattutto alla vigilia di un processo devastante per Roma come quello che si aprirà nell'aula bunmker di Rebibbia il 5 novembre. "State scrivendo una pagina straordinaria di democrazia che più di tante parole sigla l'unione tra romane e romani e il suo sindaco - ha gridato ai suoi sostenitori - In questi due anni abbiamo strappato il cancro di parentopoli di chi da queste stesse scale si era presentato col saluto romano. Noi abbiamo portato le decisioni dai salotti cosiddetti buoni all'aria aperta. Abbiamo scelto sulla base del merito e delle competenze e non degli amici degli amici o sulla base delle tessere del partito". "Certamente abbiamo fatto degli errori e me ne assumo le responsabilità - prosegue - Ma chi entrando in una casa distrutta ha il dono dell'infallibilità?". "Il 5 novembre - ripete con orgoglio - comincerà un processo storico che porterà alla sbarra coloro che hanno sfruttato i poveri. Noi come Comune saremo parte civile". E alla fine traccia la mappa della sua possibile allenza: "Ci siamo sicuramente fatti dei nemici. Qualcuno vorrebbe fermare questo percorso di cambiamento, proprio adesso che la città può ripartire". "Voi chiedete di ripensare alle dimissioni. Non vi deluderò. La politica non si esercita nelle stanze chiuse ma nelle piazze. Dobbiamo chiedere un confronto a tutti gli eletti" e in particolare a "Partito Democratico, Sel, e Lista Civica".
Partito Democratico? Matteo Orfini, irritato - e probabilmente molto preoccupato - liquida il rilancio di Marino spiegando che ormai il dado è tratto e il Pd nazionale e romano (quindi Renzi e lo stesso Orfini commisario del partito cittadino) stanno già lavorando per il futuro. Ma il partito romano, e soprattutto la base che in queste settimane ha martellato di proteste i propri eletti, sullo scaricare il sindaco marziano (e guevarista) inizia ad avere dubbi.
E questi dubbi sono l'unica certezza - aliena -  ai tempi di Mafia Capitale.

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