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musaro-giovanni-webdi Antonio Nicola Pezzuto
“Dottore Musarò, dovevano fare un attentato contro di lei e contro il Dottore Prestipino mentre vi recavate presso il Tribunale di Palmi venendo da Reggio, usciti dall’autostrada di Palmi, percorrendo la strada che voi di solito percorrevate, conoscendone il tragitto. Un attentato con delle armi di alta potenzialità e con l’esplosione dei mezzi su cui viaggiavate. I Bellocco conoscevano la BMW di colore grigio, 320, conoscevano perfettamente i mezzi e i numeri di targa. L’attentato doveva avvenire a Palmi tra la fine del 2012 e il 2013 con uomini armati e con bombe. Avevano avuto il consenso della cosca palmese dei Gallico che avrebbe permesso loro di operare in quella zona. Queste confidenze me le fece Giuseppe Bellocco, figlio di Gregorio, subito dopo la morte della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola e questa conversazione avvenne quando io andai in Calabria. Mi trovavo insieme a Giuseppe Bellocco e a Francesco Cosoleto fra Palmi e Gioia Tauro”.
A rendere queste dichiarazioni, il 12 marzo scorso, è il collaboratore di giustizia Marcello Fondacaro, medico e imprenditore vicino al clan Molè. Siamo a Palmi, dove si sta svolgendo un’udienza del processo “Onta” che vede alla sbarra l’avvocato Gregorio Cacciola, accusato di avere costretto Maria Concetta Cacciola, testimone di giustizia, a ritrattare le dichiarazioni rese spontaneamente alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria.
Ho aspettato due mesi per scrivere questo articolo perché Giovanni Musarò (in foto) è un mio amico d’infanzia e a lui sono legato da una profonda, sincera e fraterna amicizia. Non ne faccio mistero, anzi, lo dico con orgoglio. Sono rimasto in silenzio fino ad ora perché avevo bisogno di metabolizzare le dichiarazioni del pentito Fondacaro che per me sono state un vero e proprio colpo. Di quelli che ti lasciano senza fiato e ti fanno stare male generandoti un senso di angoscia da cui diventa difficile liberarsi. E allora ho aspettato che passasse un po’ di tempo, ho atteso gli eventi, ossia la positiva conclusione del processo di primo grado che ha restituito dignità alla memoria della povera Maria Concetta Cacciola, come raccontato in un articolo scritto pochi giorni fa.
Purtroppo, non è la prima volta che Giovanni Musarò viene preso di mira. Non so quanti ricordano che il 7 novembre del 2012 subì una brutale aggressione nel carcere di Viterbo ad opera di Domenico Gallico. Un’aggressione svoltasi in uno strano scenario, tra avvocati che avevano dimenticato di dover presenziare ad un interrogatorio fissato da tempo e guardie carcerarie distratte. In quell’occasione se la “cavò” con la frattura del setto nasale sebbene, il vero obiettivo del Gallico fosse, molto probabilmente, di strangolarlo. Tentativo fallito grazie alla tempestiva reazione del Pubblico Ministero di proteggersi il collo con l’avambraccio, all’intervento dell’Avvocato nominato in sostituzione del collega che avrebbe dovuto presenziare all’interrogatorio, al sopraggiungere della Polizia Penitenziaria.
Ma l’odio che la ‘Ndrangheta nutre nei suoi confronti è troppo forte e motivato dai duri colpi che le sono stati inferti dal Sostituto Procuratore e dalla splendida e valorosa squadra di cui faceva parte, coordinata dal Procuratore Aggiunto Michele Prestipino.
“Il Crimine”, “Cosa Mia”, “Vento del Nord”, “Cosa Mia Ter”, “Reale e Reale 3”, “Blue Call”, “Piccolo Carro”, “Fiore”, “Erinni”, “Onta”, “Orso”, “Sant’Anna”, sono alcune delle operazioni condotte con successo dal pool di magistrati che ha decimato le cosche della fascia tirrenica, quelle potentissime dei Bellocco e dei Gallico in primis, colpendole nei propri interessi economici attraverso il sequestro dei beni.
Tra i vari procedimenti spicca “Il Crimine”, la madre di tutte le indagini, che ha consentito di dimostrare che la ‘Ndrangheta ha un’organizzazione unitaria divisa in tre distinti mandamenti (Tirrenico, di Reggio Centro e Jonico), facenti capo ad un organismo di vertice, denominato la “Provincia”. Un fatto di straordinaria importanza nella storia della mafia calabrese. Una svolta formidabile nella lotta alla ‘Ndrangheta perché ha consentito di comprenderne le reali potenzialità e quindi l’effettiva pericolosità.
Il team di magistrati, animato da un forte spirito di servizio, cercava di capire realmente il fenomeno e non faceva sconti a nessuno adottando un metodo di lavoro concreto ed efficace che ha dato straordinari risultati. Mentre bisognerebbe chiedersi quali risultati hanno conseguito nella loro carriera tanti eroi e tante icone costruite, mediaticamente, a tavolino.
L’attentato di cui parla Fondacaro sarebbe stato sicuramente una novità per la ‘Ndrangheta che ha sempre agito sottotraccia e ha sempre evitato lo scontro frontale con le istituzioni, consapevole che avrebbe avuto solo da perdere. Se cosche del calibro dei Gallico e dei Bellocco avevano deciso di cambiare strategia era perché, probabilmente, per la prima volta, vedevano in pericolo la loro egemonia sul territorio.
La ‘Ndrangheta è sempre stata sottovalutata rispetto a Cosa Nostra anche se, paradossalmente, è senza dubbio l’organizzazione più forte, più ricca e con radicamento territoriale in varie regioni italiane e anche in diversi stati esteri.
Giovanni Musarò, giorni fa, è stato ascoltato dalla Commisione Antimafia proprio per l’agguato subito nel carcere di Viterbo e per la vicenda della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola. Durante l’audizione, l’attenzione si è anche concentrata sul ruolo di certa stampa che, involontariamente, ha delegittimato il lavoro della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e che, a quanto pare, sempre involontariamente, continua a delegittimare il lavoro dei magistrati esposti in prima linea.
“Noi la ringraziamo, siamo orgogliosi che in questo Paese ci siano magistrati come lei, cha fanno il loro dovere e lo fanno con grande dottrina, grande esperienza, ma anche con grande umanità, che per noi è un aspetto molto importante. Grazie.”, ha esclamato al termine dell’audizione la Presidente della Commisssione Antimafia, Rosy Bindi.
In questi anni ho seguito l’operato di Giovanni Musarò e, soprattutto, ho osservato attentamente come vengono trattate dai media nazionali le vicende relative a quello che viene definito il mondo dell’antimafia facendo delle riflessioni e ponendomi degli interrogativi.
Mi chiedo: “Se tutti i processi portati a termine con successo e, soprattutto, se l’agguato e le recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia avessero riguardato altri magistrati, quanto si sarebbe scritto e parlato? Quante trasmissioni televisive si sarebbero fatte? E quante scorte mediatiche si sarebbero organizzate?”. Me lo chiedo e mi piacerebbe chiederlo a colleghi famosi e autorevoli. A quelli che contano, soprattutto in questo settore.
Giovanni Musarò è un magistrato serio, schivo, riservato, coraggioso e non ama le luci dei riflettori. Ma non per questo deve restare in quel cono d’ombra dell’informazione, pericolosissimo per chi ha già subito un agguato ed è in evidente pericolo.
Questo sinceramente non lo accetto e mi preoccupa molto.
Qualcuno potrà obiettare che sono di parte. È vero, lo sono quando mi devo schierare al fianco di uomini dello spessore umano, professionale e morale di Giovanni Musarò, convinto di perorare una giusta causa.

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