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ciancimino-massimo-web23di Adriana Stazio - 10 aprile 2015
Mercoledì la sentenza della Cassazione confermava la condanna per associazione mafiosa, ieri Giovanni Mercadante si è consegnato in carcere al Pagliarelli per scontare la pena. Il radiologo ex deputato regionale è stato condannato anche grazie alla testimonianza resa da Massimo Ciancimino, che depose nel processo di primo grado. Nelle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Palermo condannò Mercadante a 10 anni e 8 mesi (pena confermata dal secondo processo di appello e dalla Cassazione), i giudici espressero un "giudizio di alta credibilità" sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino.

La sentenza
"La vicinanza di Massimo Ciancimino al padre - scrivono i giudici - ha fatto di lui un testimone, se non un protagonista di riflesso, di incontri ed episodi, oggi al centro di interesse investigativo in quanto utili a ricostruire il perverso sistema di frequentazioni, alleanze ed accordi politico-istituzionali che fece dei "Corleonesi" dei vari Liggio e Riina, un centro di potere, oltre che un gruppo di assassini senza scrupoli, capaci di condizionare la storia politico-sociale-economica della Sicilia (e in parte della Repubblica) dagli anni '70 a buona parte dei anni '90. (…) Quel che è certo, e che può indiscutibilmente affermarsi nel presente processo, è che egli (Massimo Ciancimino, ndr) ebbe realmente modo di assistere ad incontri tra il padre e Provenzano (dal dichiarante conosciuto in gioventù sotto il nome di "ingegnere Lo Verde") e, ancora, del padre col Lipari e Cannella, nella propria abitazione familiare e nei luoghi domiciliari in cui il padre fu ristretto o "confinato". Incontri in cui Vito Ciancimino e i suoi interlocutori parlavano di affari, appalti mafia e politica: costoro, in quanto uomini di fiducia di Riina e Provenzano, erano tra i pochi "eletti" ad essere "accreditati alla corte" di suo padre, che Ii aveva più volte incontrati, anche a casa.
Le sue propalazioni, dunque, per certi versi costituiscono riscontro indiretto alle affermazioni di collaboranti di giustizia, quali Giuffrè e Siino, che conobbero il padre del dichiarante e i suoi referenti mafiosi e ne hanno fatto cenno nel presente dibattimento.
A parte ciò, le dichiarazioni di Massimo Ciancimino assumono rilievo a carico del Mercadante per aver egli avuto conoscenza diretta della "vicenda D'Amico"".
Ancora: "Il racconto di Ciancimino si è sviluppato in modo fluido e coerente, senza contraddizioni di sorta, ed ogni circostanza riferita (le proprie conoscenze dei protagonisti del racconto, i riferimenti spazio temporali, i dettagli) ha trovato, anche nel corso dell’articolato controesame della difesa, ulteriori precisazioni ed argomentazioni a riscontro di quanto affermato in precedenza".

E' importante sottolineare che questo contributo dato alla Giustizia non è stato certamente facile per Massimo Ciancimino: lui non è un collaboratore di giustizia, è un semplice cittadino che non può avere alcun beneficio dalla sua collaborazione, se non di natura morale, nel sapere di aver fatto quello che è giusto. Ma tutto questo ha un prezzo altissimo su cui pochi riflettono: non è facile raccontare fatti che accusano il padre di una ragazza a cui hai voluto bene (da ragazzo Massimo è stato fidanzato con la figlia di Mercadante) e di un tuo ex compagno di classe, non è facile perdere il saluto di persone che consideravi tuoi amici, essere additato come "sbirro" e "infame" in una società civile che ancora in ampi strati considera tale chi fa il suo dovere di cittadino contravvenendo alle regole non scritte ma condivise dell'omertà, che isola chi aiuta magistrati e forze dell'ordine invece di isolare e giudicare come "delinquente" il professionista o il politico che viene condannato per associazione mafiosa. Eppure senza avere vantaggi personali, Massimo Ciancimino l'ha fatto. Solo perché era la verità, perché lui ha scelto la strada della parola invece che quella del silenzio e dell'omertà. Solo per poter camminare a testa alta e poter guardare negli occhi suo figlio, cresciuto nei valori della giustizia, con l'esempio di Paolo Borsellino.

C'è da dire che la testimonianza di Massimo Ciancimino in questo processo è stata importante ma non decisiva per la condanna. A carico del professionista, cugino del boss di Prizzi Tommaso Cannella e condannato per il suo legame con l'associazione Cosa Nostra e la vicinanza a Provenzano, c'erano già le dichiarazioni di collaboratori come Giuffré, Siino e Brusca nonché intercettazioni e altre fonti di prova. La sua testimonianza è stata però un importante riscontro a dichiarazioni soprattutto di Siino. Ma ciò che conta è che Massimo Ciancimino non si è tirato indietro: quello che sapeva ha detto davanti a un Tribunale, senza intenti accusatori, solo perché era suo dovere raccontare ciò che era a sua conoscenza.

Rimane una sentenza che ha stabilito l'alta credibilità delle dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino, a cui deve andare il ringraziamento di tutti i cittadini che credono nella giustizia e sognano una società in cui l'intreccio mafia-potere sia spezzato e la mafia sconfitta.

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