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testimoni-giust-striscioneIgnazio Cutrò e Giuseppe Carini: “Il problema è oltre”
di Francesca Mondin - 26 gennaio 2015
Dal 2015 il servizio Centrale di Protezione che si occupa di testimoni e collaboratori di giustizia avrà 25 milioni in meno a disposizione. Un fatto noto già nei mesi scorsi con la variazione di bilancio collegata alla legge di stabilità ma che si comincerà a percepire da quest’anno, come ha ricordato nei giorni scorsi il deputato del Pd Davide Mattiello. Un taglio inspiegabile dal momento che il fenomeno del pentitismo sembra essere in aumento così come le persone che scelgono di denunciare i mafiosi.
Un duro colpo che penalizza coloro che hanno deciso di tagliare i ponti con la mafia e rinnegare quel mondo all’incontrario di cui prima facevano parte e coloro che non né hanno mai fatto parte e anzi sono stati vittime dello strapotere mafioso ma hanno trovato il coraggio denunciare il malaffare, mettendoci la faccia e schierandosi dalla parte della legalità. E sono proprio i testimoni di giustizia, una netta minoranza (200 circa con i familiari, ndr) confronto ai collaboratori, (5800 circa familiari compresi, ndr) che spesso vengo abbandonati a se stessi. Basti pensare che non c’è ancora una normativa adatta alle loro necessità poiché la normativa attuale discende dalla legge sui “collaboratori” di giustizia.
“Tagliare 25 milioni di  euro al servizio è una cosa pesante – ha detto infatti Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione testimoni di giustizia - già  le cose andavano male, ora non posso pensare come possano andare”. Giuseppe Carini (testimone in merito all’omicidio di don Pino Puglisi, ndr) ha evidenziato anche che “la popolazione che incide seriamente sul bilancio e sulle spese di tutto il programma di protezione non è tanto legato alla questione dei testimoni di giustizia ma ai collaboratori di giustizia.”
Secondo i due testimoni di giustizia la falla del sistema di protezione sta a monte. “Il problema non è solo il taglio – hanno infatti spiegato Carini e Cutrò- ma quanto ci si  mette realmente in gioco per cercare di razionalizzare tutto l’impianto del programma di protezione”.
“Sarebbe interessante sapere – ha continuato Giuseppe Carini - quanti dei collaboratori di giustizia entrati nel programma di protezione nel ’91 ad esempio, si sono reinseriti nella società autonomamente o con il contributo della capitolazione e quanti invece continuano ad essere vincolati al programma di protezione, si potrebbe pensare anche per loro un reinserimento socio lavorativo”.
Il reinserimento lavorativo per i testimoni di giustizia è da sempre il cavallo di battaglia dell’associazione di cui Cutrò è presidente.Chi denuncia i propri estorsori o testimonia contro il boss di quartiere infatti compie una scelta che lo condiziona per tutta la vita perché la maggior parte delle volte gli viene fatta terra bruciata attorno e nel giro di poco tempo è costretto a chiudere la sua ditta o scappare dalla propria terra. Per questo i testimoni di giustizia hanno sempre rivendicato il loro diritto al lavoro. Appoggiare e agevolare il reinserimento lavorativo sarebbe una possibilità per le Istituzioni di lanciare un messaggio di riscatto e legalità molto forte e convincente. Eppure da quando ha denunciato i suoi estorsori lo stesso Ignazio Cutrò, come tanti testimoni di giustizia rimasti in loco, non riesce a rimettere in piedi la sua ditta anche a causa dello stato d’abbandono in cui è lasciato dallo Stato.  “La crisi del sistema di protezione – ha quindi spiegato Cutrò - sta nel fatto che sia il testimone che il collaboratore difficilmente riesce a svincolarsi  dal programma per ritornare alla vita normale, affrancarsi dal sistema di protezione non è facile ma il sistema dovrebbe agevolarlo”.