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di Miriam Cuccu - 25 settembre 2014
Il legale indagato chiama il boss: "I Carabinieri? Sono invasati"
“…Pazienza che posso fare, il mio destino è stato questo…che posso fare!?”. Così diceva alla figlia Angelo Antonino Pipitone, anziano boss di Carini, dimostrandosi pronto ad accettare qualunque conseguenza pur di portare avanti le attività illecite. Ed è con l’operazione “Destino” che finiscono in manette sei affiliati alla famiglia mafiosa, tra cui la moglie e una delle due figlie del capomafia. Oltre a Pipitone arrestata anche la moglie, Franca Pellerito, la figlia Epifania con il marito, Benedetto Pipitone, il cugino Francesco Marco e Angela Conigliaro, altra fedelissima del boss. Scattata alle prime luci dell’alba, l’operazione è stata eseguita dai Carabinieri della Compagnia di Carini su ordine del gip del Tribunale di Palermo Lorenzo Jannelli, a conclusione di una prolungata attività investigativa condotta dai magistrati della Dda palermitana. Sequestrati inoltre le quote sociali ed i complessi aziendali (circa 40 tra fabbricati e terreni) di due società a responsabilità limitata con sede a Carini, riconducibili all’organizzazione mafiosa locale. Molti gli obiettivi perquisiti, tra cui anche due studi legali di Palermo e Carini.

I sei arrestati sono accusati a vario titolo di partecipazione ad associazione mafiosa, estorsione aggravata continuata, incendio, uccisione di animali, detenzione e porto illegale di arma da fuoco, trasferimento fraudolento di valori, tutti aggravati dal concorso per mafia.

Non vendi il terreno? Raid incendiario la notte di Capodanno
Le indagini hanno avuto inizio, di fatto, dalla notte di Capodanno del 2013, a seguito dell’incendio doloso di una stalla nelle campagne di Carini e dell’uccisione di alcuni animali a colpi di arma da fuoco custoditi al suo interno. Il tutto per costringere con la forza il proprietario di una stalla a vendere la propria quota alla famiglia mafiosa (già proprietaria al 50% dello stesso terreno sotto la copertura di una società di Carini). Dopo mesi di lavoro è stata accertata la responsabilità di Benedetto Pipitone che ha eseguito gli ordini del boss, all’epoca detenuto per estorsione e associazione mafiosa. La vicenda avrebbe sicuramente avuto un seguito, se non fosse stato per l’incontro tra una pattuglia dei Carabinieri ed il soggetto incaricato di compiere un secondo attentato incendiario alla stalla.

Gli interessi del clan nella “Rotonda” di Carini
Ma la famiglia mafiosa vantava anche una fitta rete di prestanome grazie ai quali l’anziano boss, pur trovandosi recluso dal gennaio 2007, riusciva a gestire e accrescere un immenso patrimonio occulto, fatto di ville, terreni, fabbricati industriali e società. Un giro d’affari garantito da contatti con diversi “colletti bianchi”, il cui apporto è risultato determinante per consentire a Pipitone di conservare il patrimonio illecito accumulato nel tempo.
Uno degli indagati, rivolgendosi al boss, scherniva il lavoro dei Carabinieri definendoli “invasati”: “…Sì, sono invasati, devono fare chissà cosa…ma tu da solo non puoi fare niente, perché il territorio è questo…cioè, levatelo dalla testa che…cosa vuoi fare?” riferendosi ad uno dei tanti accertamenti eseguiti sugli immobili della nota “Rotonda” dello svincolo autostradale di Carini, riconducibili alla famiglia mafiosa e sequestrati nell’estate 2003 per violazione della normativa a tutela dell’ambiente. Un duro colpo per i Pipitone, che avevano fatto di quella rotonda un simbolo di prestigio, oltre che un consistente investimento economico. Questa volta, però, uno dei fabbricati situati in prossimità dello svincolo è stato nuovamente sottoposto a sequestro per intestazione fittizia.

Dopo il furto l'avvocato telefona al boss: “Vieni a casa, è successa una cosa brutta"
"Benedetto puoi venire a casa mia perché è successa una cosa brutta”. Nell’inchiesta salta fuori anche il nome di un avvocato, che si rivolge al capomafia di Carini quando, tornando da una cena elettorale, trova la casa svaligiata. Si tratta di Annalisa Vullo, intercettata mentre definisce “invasati” i Carabinieri che hanno svolto degli accertamenti sulla “Rotonda” di Carini.
Nel corso dell'operazione che ha portato agli arresti dei componenti della famiglia Pipitone i carabinieri hanno perquisito gli studi legali dell'avvocato a Carini e Palermo. Secondo l'accusa la notte del 26 maggio 2013 la Vullo avrebbe chiamato Benedetto Pipitone, e "gli chiese di poterla aiutare a rientrare in possesso della refurtiva. Cosa che avvenne. - si legge nell’ordinanza - Pipitone ritrovò chi commise il furto e la refurtiva: mancava solo un anello di brillanti che apparteneva alla madre del legale".

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