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la-trattativa-di-sabina-guzzantiCasus belli la rappresentazione della mancata perquisizione del covo di Riina
di Aaron Pettinari - 9 settembre 2014
Tra i “frammenti di storia” rappresentati nell'ultimo film di Sabina Guzzanti, “#latrattativa”, presentato la scorsa settimana fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia, ve ne è uno che spesso viene dimenticato, quasi cancellato dalla memoria degli italiani ovvero la mancata perquisizione del covo di Riina negli attimi immediatamente successivi all'arreso del Capo dei Capi.

Un fatto che è avvenuto e che al di là della sentenza di assoluzione nei confronti del generale Mori e del capitano Sergio De Caprio (alias Ultimo) perché “il fatto non costituisce reato”, venne riconosciuto come grave dal Tribunale. I giudici infatti riconobbero che la condotta del Ros aveva avvantaggiato oggettivamente Cosa nostra, pur se Mori e De Caprio (nei cui confronti i giudici espressero rilievi disciplinari) non ne avevano l’intenzione.
In quel capitolo della storia della lotta alla mafia, che definire amaro è solo un eufemismo, purtroppo un ruolo lo ha avuto, suo malgrado, anche l'ex capo procuratore Gian Carlo Caselli, insediatosi a Palermo proprio il 5 gennaio 1993, giorno della cattura del boss corleonese.
E' un dato di fatto che Caselli aveva ordinato ai carabinieri di perquisire il covo dove Riina trascorreva la latitanza in compagnia dei propri familiari, che sarebbe scattato nei giorni successivi, salvo poi tornare sui suoi passi, revocando l'ordine, su richiesta di “Ultimo” che del resto aveva appena arrestato il “Capo dei capi”.
La motivazione portata dai carabinieri per ritardare la perquisizione? Riina era stato arrestato ad una certa distanza dal covo (distanza che non arriva al chilometro, ndr) e continuando a tenere sotto osservazione il complesso residenziale in via Bernini si sarebbero potuti individuare anche altri mafiosi. Un'idea tutto sommato condivisibile strategicamente tanto che la Procura accettò ponendo la condizione che il controllo fosse assoluto e costante. Ovviamente il Ros garantì ma solo a chiacchiere perché le telecamere vennero spente appena due ore dopo la revoca del blitz ed anche il furgone in cui gli uomini dell'arma si erano fino a quel momento appostati venne ritirato. E tutto ciò tenendo all'oscuro la Procura che venne informata soltanto quindici giorni dopo. A quel punto la Procura dispose il blitz ma ormai era tardi con i mafiosi che non solo avevano portato via la moglie di Riina, Ninetta Bagarella, i figli, ed i documenti del capomafia, ma tinteggiarono nuovamente le pareti.
Caselli protestò in maniera veemente con il comandante Giuseppe Subranni che non mancò di giustificare l'operato dei suoi sottoposti spiegando che la vigilanza del complesso residenziale in via Bernini venne “sospesa in attesa di una successiva attivazione allorché le condizioni ambientali lo avessero consentito in termini di mimetismo” e che la procura non venne informata perché si riteneva di “potersi muovere in uno spazio di autonomia decisionale consentito”.
E la Guzzanti nel suo film non fa altro che sintetizzare tutte queste fasi in modo efficace ed ironico.
Nella sua lettera, pubblicata dal “Fatto Quotidiano”, Gian Carlo Caselli attacca la regista in quanto a suo modo di vedere “Raccontare con tecnica da “cabaret” la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla Procura) e della conseguente mancata perquisizione del “covo” di Riina è offensivo e non può cancellare né far dimenticare gli importanti positivi risultati ottenuti in quei 7 anni di duro e pericoloso lavoro dagli Uffici giudiziari palermitani, in stretta e preziosa collaborazione con le forze di Polizia. Un mare di arresti, pentimenti, processi e condanne (650 ergastoli!); sequestri di arsenali di armi micidiali e di patrimoni illeciti (per 10 mila miliardi di vecchie lire); processi anche a imputati “eccellenti” collusi con la mafia (Contrada , Andreotti e Dell’Utri fra gli altri): questa la sintesi del bilancio di 7 anni, cui deve aggiungersi l’acquisizione della prima e decisiva confessione di uno degli autori materiali della strage di Capaci, Santino Di Matteo, resa - su sua richiesta - proprio al sottoscritto”.
Quindi non si tratta di una critica nel merito dello svolgimento dei fatti. Del resto la stessa Guzzanti, intervenuta oggi sul Fatto quotidiano, ha spiegato che quella rappresentazione è proprio frutto del racconto che lo stesso Caselli le ha fornito e che coincide con quanto da lui riferito nel corso della deposizione resa a Palermo al processo sulla mancata perquisizione del covo di Riina.
E la Guzzanti aggiunge: “I meriti dell’ex procuratore di Palermo non sono minimamente messi in discussione e se ho realizzato questo film è anche grazie all’esempio di figure come la sua che in questi anni hanno sempre esortato i cittadini alla partecipazione democratica per sconfiggere il muro di omertà e indifferenza. Sono sicura di aver agito, nel realizzare questo film, in nome dei principi per cui Gian Carlo Caselli si è sempre battuto, così come mi auguro che la diffusione del mio lavoro possa dare un contributo importante in questa direzione”.
Quel che è certo è che il film della Guzzanti va osservato nella sua totalità e non a pezzi. Nessuno dice che Caselli sia uno sprovveduto, una persona che si fa manovrare dai carabinieri di Mori per non perquisire il covo di Riina. Nel film vengono semplicemente raccontati dei fatti con il grande merito di porre l'accento su questioni scomode. A volte vengono fornite delle risposte, altre viene stuzzicato l'osservatore a porsi altri quesiti e chiedersi il perché di certi accadimenti che hanno inevitabilmente condizionato la storia della nostra Repubblica. E' legittimo chiedersi perché il Ros ha spento quelle telecamere. E' legittimo chiedersi, così come fa la Guzzanti nella sua controreplica al Fatto, “come mai, una volta appurato che il Ros non ha rispettato le direttive della procura, che lui guidava, la stessa ha aspettato tanti anni per aprire un’inchiesta contro Mori, tanto che il processo è iniziato nel 2003, dieci anni dopo l’accaduto?”. E' legittimo ragionare sul perché pezzi di Stato si siano adoperati in un dialogo con Cosa nostra. E' legittimo farlo a prescindere dalla verità processuale che, come abbiamo visto in passato, non cancella la Storia.

In foto: gli attori Michele Franco (Gian Carlo Caselli), Manuela Lo Sicco (Magistrato), Ninni Bruschetta (Magistrato) e Marcello Mazzarella (Magistrato) durante una scena del film “La trattativa”, regia di Sabina Guzzanti, direzione della fotografia Daniele Ciprì

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