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di AMDuemila - 19 giugno 2014

“Io vi posso dire solo una cosa e portare qui una testimonianza che sarebbe divenuta verità processuale, se solo fosse stata depositata agli atti dalla procura di Caltanissetta” a raccontarlo è stata Lucia Borsellino, figlia primogenita di Agnese e del giudice Paolo ucciso nella strage di via D'Amelio insieme agli agenti di scorta. L'episodio al quale l'attuale assessore alla Sanità della Regione Siciliana si è riferita risale a “quando vent’anni fa con mio fratello (Manfredi Borsellino, ndr) andammo a consegnare l’unica agenda rimasta a casa, quella grigia dell’Enel, l’unico documento in cui si evince che mio padre avesse incontrato l’onorevole Mancino e qualcun altro”. La Borsellino ha espresso tutta la sua indignazione in uno sfogo durante la presentazione del libro “Dalla parte sbagliata, la morte di Paolo Borsellino e i depistaggi della strage di via D’Amelio“, di Dina Lauricella e Rosalba Di Gregorio (edito da Castelvecchi). “Questa agenda l’andai a consegnare personalmente – ha continuato – un commesso me la stava sottraendo dalle mani perché fosse messa agli atti. Ho chiesto che venissero fatte le fotocopie davanti a me, pagine per pagina, e me la sono portata a casa”. Per questo passaggio da lei richiesto, ha aggiunto, “Ho visto dei volti quasi infastiditi”.

Lucia Borsellino ha poi raccontato davanti ai presenti che “Quando il caro La Barbera è venuto a casa mia a consegnare la borsa di mio padre ho scoperto dopo vent’anni che questa consegna non era stata verbalizzata agli atti. E quando l’aprii e vidi che non c’era l’agenda rossa che ho visto aprire e chiudere da mio padre quella mattina, perché dormivo nel suo studio, dissi 'come mai questa agenda non è presente?' Mi risposero: 'Ma di quale agenda sta parlando?'. Ho sbattuto la porta e lui ebbe il coraggio di dire a mia madre: “Faccia curare sua figlia perché sta male, sta vaneggiando”. Io queste cose le raccontai a Caltanissetta. E dopo vent’anni sono tornata lì e non c’era nulla, non c’era una traccia nei verbali”.
Il mistero dell'agenda rossa è rimasto a distanza di oltre vent'anni ancora insoluto: Borsellino la portava sempre con sé, eppure questa non è pervenuta alla sua famiglia insieme agli altri effetti personali contenuti nella borsa che il giudice, quando si era avvicinato al citofono per chiamare la madre e accompagnarla dal cardiologo, aveva lasciato all'interno dell'auto. Dopodichè, l'inferno. Ma in quel girone di corpi lacerati e macchine carbonizzate è stata notata, a distanza di anni, in alcuni documenti fotografici e audiovisivi, la presenza del capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli che si allontanava dal luogo della strage con in mano la borsa di Paolo Borsellino, per poi fare ritorno alcuni minuti dopo. L'accusa per la sottrazione dell'agenda si è conclusa però, al Tribunale di Caltanissetta, con un'assoluzione: non ci sono prove del fatto che l'agenda in quel momento fosse effettivamente dentro la borsa, nonostante si sapesse che Paolo Borsellino, soprattutto dopo la morte dell'amico e collega Giovanni Falcone, la portasse sempre con sé. Fatto sta che, dal giorno, quell'agenda nella quale il giudice scriveva spunti, pensieri e riflessioni scomparve. “Un mese fa – ha proseguito Lucia Borsellino – è venuta la Polizia scientifica nel mio ufficio per farmi un tampone salivare. Ho chiesto a che cosa potesse servire dopo vent’anni, mi hanno risposto: “Per escludere le impronte digitali dalle impronte sulla valigia di mio padre, per vedere chi mai l’avesse potuta prendere”. Tutto questo è un’offesa. Io però voglio continuare a sperare, solo per dare una ragione alla morte di mia madre che negli anni non ha fatto altro che sperare che queste verità venissero fuori. Perché è veramente vergognoso, non solo per noi, ma per i nostri figli, le nuove generazioni. Perché la verità si deve dire, non c’è niente da fare. E loro (Dina Lauricella e Rosalba Di Gregorio, ndr) stanno facendo uno sforzo in questa direzione che spero possa essere anche emulato da altri”
Cosa conteneva effettivamente l'agenda rossa per fare sì che non lasciasse più traccia è uno degli enigmi ancora indecifrabili, anche se non è difficile pensare che Paolo Borsellino, vero ostacolo alla trattativa in corso tra Stato e mafia nei primissimi anni '90, avesse raccolto una serie si conoscenze che senza dubbio potevano essere considerate pericolose per gli indicibili accordi che le due parti si proponevano di raggiungere.

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