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genchi-gioacchino-c-barbagallo0di AMDuemila - 22 aprile 2014
A quasi 22 anni dalla morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta uccisi in prossimità dello svincolo di Capaci da centinaia di chili di esplosivo salta fuori una nuova testimonianza rimasta sepolta per decenni. Secondo quanto riportato da Repubblica, a ridosso della strage del 23 maggio ’92 un agente della polizia stradale avrebbe segnalato a un suo superiore il fatto che la sera prima un furgone bianco stazionava proprio dove Falcone saltò in aria lungo l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi alla città di Palermo. Ma a poche ore di distanza dalla strage il poliziotto aveva ritrattato: “Mi sono sbagliato, quel furgone bianco non era sul luogo dell'attentato, ma in una stradella più sotto che mi pare si chiami via Kennedy”. Per quale motivo? È quello su cui tentano di fare luce i magistrati della Procura di Caltanissetta, che qualche mese fa si sono accorti dell’incongruenza delle due dichiarazioni.

Così Sergio Lari, procuratore nisseno, ha convocato l’agente D. M. per avere delucidazioni sul perché avesse modificato la segnalazione iniziale. Il poliziotto avrebbe dunque replicato: “Ho dovuto cambiare versione, qualcuno è venuto da me e mi ha detto che era meglio se quel furgone bianco usciva dalla scena del crimine”. Questo qualcuno sarebbe l’ex funzionario di polizia Gioacchino Genchi (in foto), perito tecnico che faceva parte del primo gruppo d’indagine Falcone e Borsellino, costituitosi all’indomani della strage di via D’Amelio e capitanato dal capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Genchi, destituito dalla polizia “per motivi disciplinari”, ha immediatamente denunciato per calunnia l’agente in questione, oltre ad aver dichiarato di non averlo mai conosciuto. Ora spetta alla magistratura fare luce sull’ennesimo buco nero che gravita sulle indagini della strage di Capaci, e in particolare sulla progettazione di un attentato nel quale figurerebbero soggetti esterni a Cosa nostra tra le fila dei mandanti della strage.

Ma c’è un’altra testimonianza che è emersa in merito al misterioso furgone bianco: Francesco Naselli Flores, ingegnere palermitano e cognato del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, avrebbe ugualmente riferito della presenza di “un Maxi Ducato” oltre ad alcune persone “che stendevano cavi” nella tarda mattinata del 22 maggio ’92. Dalle indagini aperte al tempo risultò tuttavia che nessuna azienda avesse inviato operai per lavori. L’ingegnere avrebbe inoltre fornito l’identikit di un uomo, ma l’inchiesta in merito si arenò, almeno fino a questo momento. Ora la Procura di Caltanissetta dovrà indagare su quella che è solo l’ultima delle circostanze inquietanti che ruotano attorno alla strage di Capaci. I pubblici ministeri già avevano inviato nove avvisi di conclusione d’indagine per dare inizio a un nuovo processo. Sul banco degli imputati, oltre a Gaspare Spatuzza, il pentito di Brancaccio che smascherò il clamoroso depistaggio costruito attorno all’eccidio di via D’Amelio, e a Salvino Madonia, alcuni soggetti che figurano nell’indagine e arrestati a maggio 2013: Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello e Cosimo D’Amato, mai coinvolti nelle precedenti inchieste sulla strage del 23 maggio ‘92.

Foto © Giorgio Barbagallo

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