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dellutri-marcello-web11di Lorenzo Baldo - 17 aprile 2014
Palermo. “A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”, diceva Giulio Andreotti citando probabilmente il cardinale Mazzarino alla Corte di Francia, ma nel caso di Marcello Dell’Utri e dei suoi difensori è davvero difficile non farlo. Per raccontare l’udienza odierna al processo sulla trattativa Stato-mafia potrebbe bastare un flash: l’immagine dell’avvocato Giuseppe Di Peri, uno dei difensori dell’ex senatore Dell’Utri, che arriva in aula camminando speditamente. Lo scorso 12 aprile lo stesso Di Peri aveva presentato un certificato medico per artropatia al ginocchio sinistro (convalescenza di 5 giorni), mentre il suo collega Massimo Krogh era stato invece ricoverato lo scorso 5 aprile per un intervento chirurgico d'urgenza (convalescenza di 30 giorni per i postumi dell'intervento). Di fatto queste “ragioni di salute” hanno provocato lo slittamento della sentenza della Cassazione (al processo contro Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa) inizialmente prevista per martedì 15 aprile: rinviata al 9 maggio. La tracotanza di chi si ritiene al di sopra della legge è talmente evidente che è difficile da metabolizzare. Soprattutto quando a farne le spese è la ricerca della verità nel nome di tutte le vittime di un sistema criminale politico-mafioso che nel biennio ‘92/’93 ha disseminato bombe nel nostro Paese.

Quel “legittimo impedimento”
Da quando Marcello Dell’Utri è scappato in Libano la situazione giudiziaria in Italia – sotto diversi profili – è decisamente peggiorata. All’apertura dell’udienza il pm Nino Di Matteo ha comunicato che l’imputato Dell’Utri ha acquisito il nuovo status di detenuto “per altra causa”. Di fatto il processo non si ferma in quanto lo stesso ex senatore di Forza Italia risultava già imputato libero contumace. Il presidente della Corte d’Assise, Alfredo Montalto (evidenziando che la detenzione si svolge all’estero), ha disposto perciò la prosecuzione del dibattimento. Richiamando la sentenza di Cassazione del 18 ottobre 2013, il presidente ha spiegato quindi che il nuovo status di Dell'Utri “non è di per sé sufficiente per impedire la trattazione del dibattimento per legittimo impedimento da parte dell'imputato”. Lo stesso Montalto ha di seguito sottolineato che la Corte ha disposto “di procedersi oltre, riservandosi i dovuti e conseguenti provvedimenti ove nel prosieguo dovesse invece sopraggiungere la manifestazione di volontà esplicita dell’imputato di voler partecipare al processo”.

Vecchie e nuove strategie striscianti
A causa dello spostamento al 9 maggio prossimo della sentenza di Cassazione (al processo Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa) il processo sulla Trattativa ha subìto di fatto un primo stop in quanto le successive udienze erano previste proprio per l’8 e il 9 maggio. La strategia di prendere tempo, attuata dalla stragrande maggioranza delle difese, ha incassato quindi un primo risultato. In questo caso però la metodologia è stata ancora più strisciante. Per comprenderla basta ricordarsi che Marcello Dell’Utri è un imputato che ha il pieno diritto a presenziare alle udienze dei suoi processi e, come tutti gli imputati, ogni qualvolta che è impossibilitato ad essere presente all’udienza può sollevare il “legittimo impedimento” bloccando così il processo. In secondo luogo è necessario focalizzare il ginepraio che si è materializzato attorno alla richiesta di estradizione nei suoi confronti. In questo caso è proprio Dell’Utri ad avere il coltello dalla parte del manico. A causa delle lungaggini burocratico-giudiziarie che ritarderanno il suo rientro in Italia lo stesso Dell’Utri potrebbe di fatto sollevare il “legittimo impedimento” bloccando nuovamente la sentenza di Cassazione che verrebbe quindi destinata ad altra data. Contemporaneamente, a fronte di questi “legittimi impedimenti”, il processo sulla Trattativa potrebbe ugualmente subire dei contraccolpi notevoli, per non dire letali.
Sono solo pensieri negativi o aveva ragione il cardinale Mazzarino?

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