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rossi-enricodi Enza Galluccio - 24 marzo 2014
"Dipendevo dal colonnello del Sismi Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere". Sono le parole di una lettera scritte presumibilmente da uno dei due uomini che il 16 marzo in via Fani, a bordo di una moto Honda, bloccarono il traffico nel momento in cui avveniva il rapimento di Aldo Moro e l’omicidio degli uomini della sua scorta. Lo rivela all’Ansa l’ex ispettore di polizia Enrico Rossi (in foto © Ansa) che dice di aver ricevuto copia di quella lettera nel 2011, senza che essa fosse stata protocollata, né che fossero state realizzate delle indagini in merito.
La missiva in questione era giunta nella sede del quotidiano La Stampa nel 2009, alcuni mesi dopo la morte del suo autore, come aveva disposto egli stesso.

In essa descrive il proprio rimorso per non aver contribuito all’affermazione della verità, e afferma di aver partecipato attivamente  al rapimento con il preciso incarico di favorire l’azione dei brigatisti, insieme ad un altro collaboratore di cui dà indicazioni precise affinché possa essere individuato.
Erano entrambi di Torino ed avevano ricevuto quell’incarico dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi.
Quando l’ex ispettore riceve quella lettera, dispone subito degli accertamenti e trova dei riscontri. Viene individuato il secondo collaboratore e si scopre che è in possesso di due pistole, una Beretta ed una mitraglietta a canna lunga, ma l’uomo parla soltanto della prima; la seconda sarà trovata durante una perquisizione nella sua cantina, chiusa in un armadio a fianco di una copia dell’edizione straordinaria del quotidiano La Repubblica proprio di quel 16 marzo.
Da quel momento iniziano una serie di passaggi che, in un modo o nell’altro, bloccano qualunque prosecuzione delle indagini.
Rossi non otterrà neanche il permesso di interrogare quell’uomo, che morirà alla fine dell’estate del 2012. Nonostante il ritrovamento dell’arma fosse avvenuto in uno scenario davvero inquietante, essa non sarà neanche periziata.
In seguito a quella successione di eventi che rendono impossibile ogni ulteriore accertamento, l’Ispettore “capisce” e decide di ritirarsi dal servizio andando in pensione. Oggi, però, parla e ci riporta un pezzo di quel puzzle che probabilmente potrebbe condurci ad un’altra verità sulla morte dello Statista della Dc.
Come ben sappiamo, Aldo Moro era stato più volte nell’occhio del ciclone all’interno del suo partito (e non solo…) per la sua apertura nei confronti del Pci e, anche per questi motivi, costretto ad una condizione di isolamento politico.
via-faniTutto ciò accade negli anni critici dello stragismo e degli omicidi degli anni settanta, attribuiti spesso all’eversione di destra e di sinistra. Ma il dubbio che la verità su quelle stragi sia ancora tutta da definire è più che legittimo. Esso è anche testimoniato dai molti articoli e libri scritti su questi temi. Tra gli ultimi, val la pena di citare “ la Repubblica delle stragi impunite” di Ferdinando Imposimato, magistrato oggi Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione.  
Ad oggi, l’evoluzione dell’analisi giudiziaria e della letteratura sul caso Moro sono ancora totalmente in divenire, dall’ipotesi della strumentalizzazione delle Brigate Rosse da parte di alcuni “poteri nascosti” con infiltrazioni dell’intelligence degli Stati Uniti o dell’Organizzazione Gladio, all’implicazione della P2 di Licio Gelli.
In questo drammatico spaccato storico italiano, ha perso la vita anche il giornalista Mino Pecorelli, particolarmente impegnato nel far chiarezza su quei fatti e autore di un articolo intitolato “Vergogna, buffoni!” in cui sosteneva che il generale Dalla Chiesa avesse riferito ad Andreotti di conoscere il luogo della prigione di Moro, e che gli fosse stato negato il via libera ad un blitz per volontà di una “certa loggia”…
La vicenda dell’omicidio Moro fa parte di un immenso archivio di verità negate, probabilmente ancora una volta in  nome di quella stessa ragion di Stato che impedisce agli italiani di sapere cosa sia veramente successo in quegli anni ed in quelli successivi, in cui persero la vita anche magistrati come Falcone e Borsellino.

ANTIMAFIADuemila
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