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teresi-vittorioaulaDopo le critiche del pm e di Ciancimino Mori e De Donno pensano alla querela
di Miriam Cuccu - 7 marzo 2014
Proseguono le polemiche contro il processo per la trattativa Stato-mafia. Questa volta gli ex ufficiali dell’Arma Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, imputati al processo in corso a Palermo per aver preso parte attivamente al dialogo con pezzi di Cosa nostra insieme a uomini delle istituzioni, hanno chiesto che il dibattimento venga trasferito ad altra sede per motivi di “pubblica incolumità”. A loro dire, infatti, esisterebbero una serie di elementi critici che minerebbero le condizioni di sicurezza, come i messaggi di morte di Riina al pm Nino Di Matteo o il ‘blitz’ nell’abitazione del giudice Roberto Tartaglia per cercare dei documenti. E all’immediata critica del coordinatore delle indagini sulla trattativa, il pm Vittorio Teresi, e di Massimo Ciancimino, che ha definito l’istanza “una vergogna”, Mori e De Donno avrebbero manifestato la volontà di sporgere querela. 

“Che si chieda di spostare il dibattimento sulla trattativa Stato-mafia da Palermo e da un'aula bunker costruita proprio per celebrare il primo maxi processo alle cosche è ‘un paradosso’. Lo Stato deve reagire alle minacce riaffermando la propria presenza, non facendo marcia indietro” ha commentato Teresi, che definisce l’istanza “eticamente sbagliata”. “Negli anni del maxi-processo – ha spiegato il pubblico ministero – ci furono tensioni fortissime e i magistrati vennero minacciati ripetutamente, per tutta risposta in tempi brevissimi si costruì quest'aula proprio per ribadire la presenza dello Stato. Anche in quel caso si fecero richieste analoghe per legittima suspicione. Ma vennero respinte”. Secondo il magistrato palermitano Mori e De Donno “continuano con il loro 'peccato originale' pensando che davanti alla minaccia di un pericolo lo Stato debba arretrare”. Inoltre la rabbia manifestata dalle parole di Riina dal carcere di Opera “riguarda la celebrazione del processo, quindi spostarlo non servirebbe a nulla”. Proprio le minacce di nuove stragi e attentati, ha ipotizzato Teresi, sarebbero state manifestate dal boss corleonese per creare un clima di maggiore tensione nel quale sarebbe maggiormente giustificabile un eventuale trasferimento del processo. Non si deve dimenticare che, proprio in nome del rischio per le condizioni di sicurezza dei magistrati, all’indomani della minaccia espressa da Riina di voler fare “la fine del tonno” a Di Matteo, il pm di punta della trattativa è stato costretto a rinunciare all’esame del pentito Giovanni Brusca che per ciancimino-massimo-web7l’occasione si svolse in trasferta a Milano. Già in quel momento lo Stato, invece di fare quadrato intorno al magistrato attualmente più esposto, ha optato per un clamoroso passo indietro. Come a dire: Riina, al 41 bis da più di vent’anni, ha ancora un potere tale da influenzare l’attuale andamento del processo che svelerebbe i rapporti che intercorrono tra Stato e mafia.
“Assistiamo a degli attacchi nei confronti della nostra attività e, soprattutto, dell'impianto accusatorio del processo per la trattativa che riteniamo immotivati. Ma sarebbe bene che chi parla, avesse conoscenza degli atti processuali e rispetto per le decisioni che già un gup ha preso rinviando a giudizio gli imputati” è la dichiarazione che Di Matteo ha rilasciato soltanto pochi giorni fa, a ridosso delle audizioni previste a Palermo davanti alla Commissione antimafia.
Le recenti ‘preoccupazioni’ sollevate dalla Dna nella sua relazione circa “nuovi problemi di natura giuridica e fattuale” sono solo uno degli ultimi ‘attentati’ al proseguimento del processo, che seguono di poco l’anteprima del libro “La mafia non ha vinto. Nel labirinto della trattativa” di Lupo e Fiandaca, rispettivamente storico e giurista, nel quale i due saggisti definiscono la trattativa “legittima” e “a fin di bene”. Ma la lista è lunga. Dopo le calunnie subite da Di Matteo, accusato perfino di avere orchestrato da solo gli ordini di morte di Riina, dopo i procedimenti disciplinari (è attesa per il 10 marzo la sentenza della Cassazione sull’archiviazione del provvedimento nato a seguito dell’intervista del pm sulle intercettazioni tra Napolitano e Mancino) l’ultimo dei quali ai danni di Teresi, per aver criticato le motivazioni dell’assoluzione in primo grado al processo Mori-Obinu, la strada imboccata dai magistrati di Palermo per indagare sul dialogo tra Stato e mafia è sempre più osteggiata, su tutti i fronti.

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