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di-matteo-nino-web5I legali di Mori chiedono di spostare la sede del processo
di AMDuemila - 5 marzo 2014

Palermo. Tra le 68 domande presentate dai magistrati di tutta Italia per tre posti da sostituti procuratori della Direzione Nazionale Antimafia ci sono anche quelle dei due pm del processo sulla trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene. La domanda per la Dna, a Palermo, è stata presentata, tra gli altri, anche dal gup Lorenzo Matassa e dai pm Laura Vaccaro, Paolo Guido e Gaetano Paci. Per quanto riguarda l’istanza inoltrata dai magistrati Di Matteo e Del Bene non significa che entrambi abbandoneranno il dibattimento in corso. Nell’eventualità che le loro domande siano accettate potrà essere richiesta la successiva “applicazione” al procedimento che si sta celebrando davanti alla Corte di Assise di Palermo.

Di contraltare va evidenziato che proprio oggi gli ex ufficiali dell'Arma Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno hanno depositato nella cancelleria della Corte d'Assise di Palermo un'istanza di rimessione del processo sulla trattativa in cui si chiede il trasferimento in altra sede del dibattimento in base all’art. 45 del codice di procedura penale. Nelle 45 pagine depositate i legali dei tre imputati focalizzano la richiesta di trasferimento sul rischio per l'incolumità pubblica legato a determinati fattori: dalle minacce di Totò Riina al pm Nino Di Matteo, agli anonimi giunti alle Procure di Palermo e Caltanissetta, così come all’incursione in casa del pm Roberto Tartaglia. Secondo i difensori tutto ciò dimostrerebbe che lo svolgimento del dibattimento nel capoluogo siciliano creerebbe pericolo per l'incolumità pubblica. A questo punto la Corte di Assise presieduta da Alfredo Montalto potrebbe sospendere il processo in attesa della decisione che toccherà alla Suprema Corte di Cassazione. Se poi il caso specifico dovesse essere rimesso alle sezioni unite della Cassazione il processo dovrà essere obbligatoriamente sospeso. In attesa di conoscere maggiori dettagli su questa istanza di rimessione non resta che constatare il paradosso di un Paese dove i legali dei principali imputati strumentalizzano il clima di tensione reale che si respira attorno al processo sulla trattativa per poterlo sospendere e soprattutto per farlo spostare in modo da azzerarlo. In un Paese “normale” non assisteremmo a simili tentativi di boicottaggio nel nome dell’incolumità pubblica. In un altro Paese i magistrati sovraesposti sarebbero invece tutelati da tutti quegli attacchi provenienti dalle istituzioni, dalla politica e dalla magistratura (giuristi, storici e intellettuali compresi). Nel frattempo lo stesso Di Matteo ha fatto sapere di non voler minimamente tribunale-palermo-big2abbandonare il processo. “Da parte mia non c’è alcuna intenzione di lasciare il lavoro cominciato. È solo una domanda come tante altre che ho fatto nel corso della mia carriera – ha dichiarato a caldo il magistrato –. Se dovesse essere accolta non vuol dire che dovrei abbandonare la indagini sulla trattativa, dato che esiste la possibilità di applicare i magistrati in servizio alla Dna alle inchieste che conducevano in precedenza”. Tra gli esempi di coloro che lo hanno potuto fare c’è quello del magistrato fiorentino Gabriele Chelazzi che a suo tempo aveva continuato ad indagare sulle stragi del ‘93 anche dopo il passaggio dalla procura di Firenze alla Dna.

In foto: il pm Nino Di Matteo e il palazzo di giustizia di Palermo

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