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gratteri-cantone-webdi Anna Dichiarante - 19 giugno 2013
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri reca, in calce, la firma di Enrico Letta e la data del 7 giugno scorso; un solo articolo, sei commi, poche sintetiche direttive sul funzionamento del nuovo organo - di cui lo stesso decreto sancisce, in maniera ufficiale e formale, la nascita - e, naturalmente, l’elenco dei suoi componenti. La Commissione per l’elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità, istituita presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri (questa, per esteso, la denominazione della nuova struttura) avrà, sostanzialmente, due compiti; il primo sarà quello di elaborare - entro novanta giorni dall’emanazione del provvedimento - un rapporto, contenente sia l’analisi generale del fenomeno mafioso sia le proposte, de iure condendo, per affinare la normativa di contrasto al medesimo, avendo come riferimento i differenti settori dell’ordinamento e gli strumenti tanto di repressione quanto di prevenzione. Il secondo compito - in realtà, assimilabile e riconducibile al primo - consisterà nel formulare singole proposte su tematiche specifiche, qualora arrivino indicazioni in tal senso da parte del Presidente del Consiglio, anche anteriormente al decorrere del termine trimestrale, predisposto per la conclusione dei lavori.

Per adempiere all’incarico (svolto a titolo gratuito), i componenti della Commissione potranno, tra l’altro, procedere all’audizione di soggetti impegnati sul fronte della lotta alle mafie.
Il decreto, quindi, rende operativa e burocraticamente concreta quell’idea che Enrico Letta aveva lanciato, agli inizi di maggio, dalla poltrona di uno dei salotti televisivi più seguiti d’Italia, mentre incespicava maldestramente sulla definizione di scambio elettorale politico-mafioso, oltre che sulle intenzioni del Governo, appena insediatosi a Palazzo Chigi, a proposito di contrasto alla criminalità organizzata. Per rispondere alle critiche che, sin da subito, furono avanzate all’Esecutivo - proprio per colpa del silenzio e dell’assenza di punti programmatici sulla questione -, in quell’occasione, il neo-presidente proclamò di volersi affidare alle opinioni ed alle conoscenze tecniche di alcuni
esperti della materia, al fine, poi, di decidere con cognizione di causa quali azioni intraprendere: di per sé, un intento lodevole ed anche sintomatico di una certa umiltà intellettuale, nell’ammettere che - per legiferare in un ambito così delicato e complicato - è meglio farsi assistere dall’esperienza e dalla professionalità di studiosi ed addetti ai lavori.
Un modus operandi, peraltro, non inedito nella storia politica e legislativa italiana, visto che - negli ultimi decenni - si sono susseguiti altri esempi di commissioni ministeriali, istituite appositamente per approfondire l’analisi del fenomeno mafioso e degli strumenti più efficaci nel combatterlo; durante la fase di redazione dell’attuale codice di procedura penale, infatti, una speciale sotto-commissione, presieduta da Antonino Caponnetto, venne incaricata di occuparsi, in particolare, delle problematiche sollevate dai procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata.
Ancora, alla fine degli Anni Novanta, Giovanni Fiandaca fu chiamato a dirigere i lavori della Commissione per la ricognizione ed il riordino della normativa di contrasto alla criminalità organizzata e per la redazione della bozza di Testo unico antimafia (un progetto simile a quello che è sfociato - con un prodotto assai meno ambizioso ed esauriente - nel recente Codice delle leggi antimafia, ovvero il decreto legislativo n. 159 del 2011).
La sinergia tra esponenti del mondo della politica o della Pubblica Amministrazione, magistrati e figure appartenenti agli ambienti accademici consente, in effetti, di mantenere un maggiore equilibrio tra aspetti teorici e pratici, ma, soprattutto, di concentrare l’attenzione sulle questioni preminenti e sugli obiettivi realmente raggiungibili; l’accostamento di competenze diversificate tra loro (le discipline coinvolte spaziano dal diritto e dalla procedura penale al diritto penitenziario, dal diritto amministrativo a quello bancario, senza tralasciare i fondamentali risvolti internazionalistici della lotta al crimine organizzato), inoltre, permette di adottare una visione globale ed interattiva degli strumenti sia preventivi sia repressivi, a disposizione degli apparati statali.
Non sfugge, però, che gli sforzi profusi dal gruppo di elaborazione - questo, alla luce pure degli esiti delle precedenti esperienze - assumeranno un senso e si trasformeranno in risultati positivi, soltanto se le proposte formulate sulla carta verranno davvero recepite ed attuate; dopotutto, è bene ricordare che Raffaele Cantone e Nicola Gratteri (per citare due tra i sei membri della Commissione, presieduta da Roberto Garofoli) sono impegnati da anni nella divulgazione di un’autentica cultura della legalità ed hanno costantemente dato il loro apporto di idee, al dibattito sulle riforme per migliorare la nostra normativa antimafia ed anticorruzione, riuscendo a rivolgersi, non solo agli organi istituzionali interessati, ma anche al resto dell’opinione pubblica. E, come loro, numerose ed autorevoli voci hanno spesso indicato la via che sarebbe stato, di volta in volta, più opportuno intraprendere nel contrasto alle mafie; il guaio è che, pur in presenza dei migliori insegnanti, non si è quasi mai voluto ascoltare ed imparare.
L’augurio, allora, è che le dichiarazioni programmatiche non si risolvano, almeno stavolta, in una mera adesione di facciata alle proposte elaborate dalla Commissione, bensì portino a risultati tangibili.
Tutto ciò appare di vitale importanza, perché - come scriveva molto efficacemente Vittorio Grevi, nell’autunno del 1993 -, da un lato, è innegabile «che quando la lotta alla criminalità organizzata si concretizza nel momento della repressione penale, e quindi necessariamente si svolge attraverso le forme del processo, la macchina processuale deve essere efficiente, cioè idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e delle (eventuali) responsabilità»; dall’altro lato, «è altrettanto vero che non è il processo penale il luogo più adeguato né, tanto meno, il luogo esclusivo per questa lotta, che deve invece svilupparsi specialmente prima e fuori del processo, dispiegandosi ai diversi livelli nei quali si collocano, più o meno direttamente, i corrispondenti fattori criminogeni. Anzitutto, dunque, attraverso attività dirette al risanamento del tessuto sociale ed alla diffusione di un convinto costume di rispetto della legalità; quindi attraverso più specifici interventi politici ed amministrativi di contrasto alla crescita delle organizzazioni criminali: sia nel senso della rottura di certe oscure connivenze e di certe ambigue solidarietà, anche di natura politica; sia nel senso dell’impiego di ogni possibile strumento idoneo ad assicurare, sul piano personale e su quello patrimoniale, la prevenzione di comportamenti delittuosi».
In queste ultime settimane, intanto, la Commissione ha iniziato a riunirsi e si è avviata a discutere su alcuni nodi cruciali, come quello riguardante i reati di riciclaggio e di auto-riciclaggio; al suo esame, sono stati già sottoposti anche i quindici spunti di riforma, stilati e sostenuti dai promotori della campagna “Senza la corruzione - Riparte il futuro”, a dimostrazione del fatto che - ad ogni livello della società - le energie ed i buoni propositi non mancano.

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