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rostagno-mauro-web3di Rino Giacalone - 15 aprile 2013
Le ultime due udienze del processo in corso a Trapani per il delitto del sociologo e giornalista. Niente colpi di scena, la difesa degli imputati mafiosi arranca sulla pista delle armi.
Subito una premessa, a scanso di equivoci. Storicamente il territorio trapanese è stato preda di inciuci criminali incredibili. Crocevia di traffici, armi e droga. Cassaforte dei soldi sporchi che qui venivano ripuliti. Riciclaggio insomma. Ci sono stati pezzi dello Stato che hanno fatto parte di questi scenari, ma la regia è sempre stata la stessa, quella di Cosa nostra.

Ci sono pagine e pagine di rapporti che raccontano queste storie, a cominciare da quello del dirigente della Squadra Mobile Giuseppe Peri inoltrato a diverse procure nell’agosto del 1977. Mafia, terrorismo, politica, strategia della tensione, sequestri di persona, attentati. Negli anni a venire salterà fuori anche il ruolo della massoneria che proprio a Trapani ha avuto una organizzazione perfettamente sovrapponibile a quella mafiosa, dal rito di iniziazione alla segretezza degli appartenenti, sino alla capacità di infiltrazione nel tessuto sociale e imprenditoriale. Radici ben piantate ancora oggi difficili da sradicare. Questo per evitare che qualcuno leggendo questo resoconto processuale gli venga a mente di dire che la pista delle armi nel delitto di Mauro Rostagno venga esclusa perché ritenuta inesistente. I traffici di armi qui in provincia di Trapani ci sono sempre stati ma non sono stati traffici gestiti solo da pezzi “deviati” dello Stato, ma Cosa nostra dentro questi traffici c’è dentro più di altre entità. Potrebbe starci la matrice del delitto da ricondurre alla scoperta da parte di Mauro Rostagno di un losco movimento di aerei e camionette sulla pista di un aeroporto dismesso, potrebbe starci la matrice dell’omicidio da ricondurre alla scoperta da parte di Mauro Rostagno della forte presenza di Gladio, tutto questo ci potrebbe essere stato e non è un mistero che su questi aspetti c’è una indagine stralcio, una costola rispetto all’istruttoria processuale in corso dinanzi alla Corte di Assise di Trapani, aperta presso la Dda di Palermo, ma oggi il processo ci dice altro, ci continua a dire altro.

Il processo in corso scaturisce da una istruttoria che in buona sostanza prova che il delitto fu ordinato dal patriarca della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro, che l’ordine fu portato a Trapani e lo raccolse il capo mandamento Vincenzo Virga, che il delitto fu compiuto nel territorio di Trapani perché la certezza dei boss era quella che veniva attribuito al capo mafia della zona Totò Minore che gli investigatori credevano ancora vivo e invece era stato già strangolato e sciolto nell’acido, e il suo successore Vincenzo Virga non viveva di stenti, era ben voluto e accreditato negli ambienti che contavano e che come ha raccontato il pentito Giuffrè questa situazione aveva portato la nuova mafia ad avere a suo favore “i cani attaccati”. L’esecutore del delitto dall’istruttoria viene indicato in Vito Mazzara campione mafioso di tiro al “cristiano” uno che andava a sparare assieme a Matteo Messina Denaro e a un insospettabile consigliere comunale del Psi, Franco Orlando, che però a parte le accuse di mafia è uscito indenne dai processi per omicidi. Con Mazzara a sparare secondo il pentito Milazzo c’erano due tipi anche loro mai condannati per delitti, Todaro e Barone. Mazzara conclamato killer mafioso sparava sempre secondo precise modalità a cominciare dalla preparazione delle cartucce fino all’esecuzione, usando sempre una stessa auto, Fiat Uno, rubata e finita bruciata. Quella per il delitto Rostagno era un’auto rubata sei mesi prima. L’istruttoria del processo ci dice questo, non ci parla del movente, non c’è il movente in questo dibattimento. Se non la voce diventata ricorrente nel processo per essere stata ricorrente in quei giorni del delitto che “Rostagno era una camurria” per i mafiosi.

Le difese degli imputati però hanno ottenuto dalla Corte di Assise spazio sulla possibilità di delineare un movente…lontano dalla mafia prima e quindi dagli imputati alla sbarra, Virga e Mazzara. Gladio e traffico di armi verso la Somalia. Fatti sui quali nel nostro Paese non si è mai fatta chiarezza. Misteri italiani. Il processo per il delitto di Mauro Rostagno ha avuto da un certo punto in poi il compito “arduo” quasi di risolvere questi “gialli”. Ma fino ad oggi non certo per colpa di magistrati e giudici è stato un “flop”. I testi decisivi che avrebbero dovuto dare questo scenario, Gladio e traffico di armi, al delitto Rostagno e quindi contribuire a svelare i retroscena di questi grandi misteri, in aula sono venuti a dire poco o nulla. Ne citiamo due per tutti, Francesco Elmo, il faccendiere al servizio dei “servizi segreti” e Antonino Arconte, autodichiaratosi appartenente di Gladio e che però in aula è venuto più a parlare delle sue controversie con il ministero della Difesa per avere riconosciuto lo status che di altro. Elmo e Arconte hanno parlato di Trapani, hanno indicato i luoghi frequentati, parlato anche di strani soggetti dei servizi che spiavano la loro presenza, nel caso di Elmo, o descritto caserme dove venivano a prendere ordini, nel caso di Arconte, ma sul delitto di Mauro Rostagno nulla di preciso. Eppure se fosse vera la storia che Rostagno aveva scoperto un traffico di armi e che per sua colpa una intera operazione era destinata a finire all’aria, viene facile dedurre che dentro quegli ambiti qualcosa di doveva pur sapere. Se poi lo scenario è ancora più vasto ed è quello del quale ha parlato un altro teste che doveva risultare decisivo per le strategie difensive, e cioè Sergio Di Cori, che addirittura ha parlato di una larga conoscenza di quello che Rostagno aveva scoperto, con tanto di misteriosa cassetta finita sul tavolo di maggiorenti del Psi, viene da chiedersi come alla fine questo segreto sia rimasto tale. Se a tenere le fila era un ex potente come Bettino Craxi, che addirittura Arconte ci ha detto ha a lui scritto invitandolo a mantenere “il segreto” – non sul delitto Rostagno né sul traffico di armi verso la Libia (cosa questa presentata come la novità del processo quando invece da anni è patrimonio di conoscenza comune) ma sull’esistenza di Gladio – che ha miseramente finito i suoi giorni da ricercato per tangentopoli in Tunisia, insomma ce ne vuole a dare credito a queste storie. Craxi che voleva mandare in pellicceria la volpe Andreotti probabilmente aveva come ultimo interesse quello di non fare parlare di Gladio che sembra essere stata una “creatura” proprio di Andreotti. Stiamo divagando anche noi. Fermiamoci alle dichiarazioni nel processo. Provate a cercare un riferimento al delitto Rostagno da parte di questi testi che avrebbero dovuto rivoluzionare il dibattimento. Niente e solo niente. Nulla. Tanto che in diverse fase dibattimentali abbiamo avuto la sensazione che quello in corso fosse altro processo. Quello su Gladio, il delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin per via dei riferimenti al traffico di armi verso la Somalia.

Gladio è certamente esistita, a Trapani c’era una sua base e a guardare bene le cose la mafia non era così lontana da quel centro: guarda caso l’abitazione presa in affitto apparteneva all’imprenditore Francesco Morici al quale si presentò il sig. Vicari alias del maresciallo del Sismi Vincenzo Li Causi; Morici è il soggetto che oggi ha subito un sequestro di beni da 30 milioni per le sue combutte con la mafia di Vincenzo Virga. I traffici di armi ce li hanno fatti vedere sostenuti da importanti riscontri, due cronisti, due bravi giornalisti investigativi, Luciano Scalettari e Andrea Palladino. Alcuni episodi sono stati collocati in periodi successivi al delitto Rostagno, e l’aeroporto dismesso utilizzato sembra essere stato quello di Milo che non quello di Chinisia. E a Milo per anni ha operato una super protetta base di studi aerei e scientifici, una base aerospaziale che da qualche anno ha però smobilitato. Se volete un posto sicuro al riparo da occhi indiscreti. Se si vuole una base nemmeno molto lontana da Lenzi, dalla sede di Saman dove Rostagno viveva. Un nome ricorrente per questi traffici è stato quello di Giuseppe Cammisa ex ospite di Saman, ex braccio destro di Francesco Cardella, parente di boss mafiosi di Campobello di Mazara, rappresentante in Ungheria, paese dove si trova dall’inizio degli anni ’90, di una nota marca di automezzi pesanti italiana, e dove si torva fondò anche un circolo di Forza Italia. Cammisa fu tra i soggetti indagati per il delitto Rostagno all’epoca della cosidetta operazione Codice Rosso, di tutti, poi prosciolti, fu l’unico a non avere fatto nemmeno un secondo di galera. Lui e Monica Serra, altra indagata di Codice Rosso, erano all’estero quando scattò il blitz, Monica Serra e Cammisa annunciarono l’intenzione di tornare in Italia e costituirsi, Monica Serra lo fece, Cammisa si fermò al solo annuncio. Un altro eccellente indagato era Francesco Cardella, anche lui è rimasto all’estero,. Si è guardato bene dal rientrare in Italia, lo fece solo quando le acque per lui si calmarono, tornò in Nicaragua il giorno stesso che subì una condanna a sette anni. L’anno scorso ad agosto è lì morto per infarto…si dice.

E il delitto di Mauro Rostagno? In queste udienze l’unico teste che ha parlato del delitto è stata Giacoma Filippello, moglie del boss mafioso di Campobello di Mazara. Natale L’Ala. “Dava fastidio alla mafia”. E da chi lo ha saputo? “Natale (L’Ala ndr) me lo diceva... Ebbi modo di commentare l’accaduto, mio marito mi disse che Rostagno era stato ucciso perché con la sua attività giornalistica dava fastidio agli amministratori locali”. In aula ha aggiunto, rispetto all’originario verbale reso durante l’istruttoria, “dava fastidio anche ai mafiosi locali….”. Ha poi parlato di massoneria, della frequentazione tra il marito e il prof. Giovanni Grimaudo capo della Iside 2 di Trapani, la loggia dove erano scritti mafiosi, politici, burocrati d’alto rango, che erano le storie delle quali Rostagno si stava interessando come ha dimostrato la documentazione acquisita durante il processo. Mafia e massoneria erano i temi ai quali Mauro Rostagno dedicava grande attenzione. E di cosa se non di questo ha potuto andare a parlare con l’allora giudice istruttore Giovanni Falcone? L’incontro tra i due ci fu, non è una invenzione, lo ha confermato in aula l’ex segretaria del magistrato, Barbara Sanzo, ma è un incontro che va collocato nel suo giusto scenario, mafia e massoneria che in quella metà degli anni 80 era uno scrigno super segreto e che Cosa nostra proteggeva tantissimo, non fosse altro perché uno dei capi di quella massoneria era Pino Mandalari, il commercialista di Totò Riina. Dava fastidio alla mafia Rostagno e certo che dava fastidio a Cosa nostra se questi erano i suoi interessi, scoperchiare il verminaio trapanese dove dentro c’era anche la politica. Tutto amalgamato dalla salsa massonica. “Dicci a chiddu ca varva e vistuto di bianco che la finisse di dire minchiate” mandava a dire il defunto Mariano agate dalla cella dell’aula di Tribunale dove veniva processato, Agate che era il numero uno in quell’elenco della Iside 2. E però quella giornata segnata dalla deposizione di Giacoma Filippello è finita sui giornali stampata e raccontata per altro, la rivelazione della Filippello circa il delitto del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, deciso un giorno a casa di un preside, a Castellammare del Golfo, un delitto deciso da Mariano Asaro e confidato a Natale L’Ala. Mafia, massoneria, “quella camurria che era Rostagno” non sono stati raccontati. Ma nel processo fortunatamente sono stati raccontati. E’ stato anche raccontato un episodio di un mancato traffico di armi. Non c’entravano servizi deviati, camionette militari e misteriosi aerei, avrebbe riguardato un boss mafioso trapanese, Nino Monticciolo che però non può venire a dirci nulla perché nel frattempo ammazzato. Ma ancora una volta se si parla con contezza di particolari di un traffico di armi quello che emerge è l’interesse di Cosa nostra, non di altri.

A cosa è servito il delitto di Mauro Rostagno? E’ servito alla mafia trapanese per crescere indisturbata, a coltivare le sue connivenze, a diventare essa stessa protagonista della politica e dell’economia. Questo ce lo raccontano una serie di indagini fatte anche a molti anni di distanza da quel 1988. Ma ce lo diceva ai tempi del delitto anche l’allora capo della Squadra Mobile Rino Germanà, che non a caso nella stagione delle stragi del 1992 era l’obiettivo della mafia dopo Paolo Borsellino.

Le prossime udienze saranno importanti perché conosceremo il punto di vista dei periti nominati dalla Corte di Assise a proposito delle vicende balistiche che riguardano l’imputato Vito Mazzara che in carcere, dove si trova a scontare ergastoli, quando seppe che indagavano su di lui per il delitto Rostagno, cominciò a fare notare segni di nervosismo. In fin dei conti delitto più o delitto meno cosa gliene poteva importare e invece di colpo si mostrò più nervoso del solito. Viene da pensare che l’omicidio Rostagno possa nascondere altre connivenze tra mafia e altri poteri, tra mafiosi e altri soggetti. E in aula invece lo abbiamo visto rilassato…quasi certo che quello che poteva essere scoperto non lo è stato. E le storie di Gladio, di aerei che atterrano e caricano casse con armi fanno comodo a portare altrove l’attenzione dei giudici. D’altra parte sono scene già viste, se il processo per l’omicidio Rostagno è cominciato con 20 anni di ritardo è stato anche perché le indagini sono andate molto lontano, tanto lontano da Trapani e invece gran parte del dibattimento in corso ci ha detto che il perché del delitto sta dentro questa città e all’interno del territorio circondato, oggi come ieri  da un muro di gomma.

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