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di -matteo-c-barbagallodi Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 4 aprile 2013
La linea di condotta del Pg della Cassazione Gian-franco Ciani nella riunione con l’ex capo della Dna Piero Grasso? Per il Guardasigilli Paola Severino è “corretta”.

Parole che non contribuiscono ad allentare un clima ancora teso a Palermo, dove gli investigatori antimafia sono a caccia di 300 chili di esplosivo nascosti nelle borgate per rilanciare la strategia della tensione, come ha scritto l’anonimo Corvo preso assai sul serio nei palazzi della sicurezza. Rischia, infatti, di suonare come una beffa l’elogio del ministro della Giustizia al Pg che ha messo sotto accusa Di Matteo, bersaglio numero uno del nuovo progetto stragista, anche perché quella della Severino è l’unica voce del governo dimissionario di Monti, dopo l’allarme provocato dall’annuncio dell’attentato che gli “amici romani” del boss Messina Denaro avrebbero commissionato a Cosa Nostra per fermare il pm più esposto della trattativa Stato-mafia.

Eppure la lettera anonima, secondo l’intelligence antimafia, potrebbe essere letta proprio come l’ultima puntata del dialogo tra Cosa Nostra e le istituzioni: preoccupato dall’eventualità di un rinnovamento in politica (“il paese non può essere affidato a comici e froci”, avverte il messaggio, con evidente riferimento a Grillo), il sistema criminale fa sapere che è pronto a tornare al terrorismo per bloccarlo. E sceglie tre obiettivi che sono la copia di quelli del ’92: Massimo Ciancimino (come Salvo Lima), e due magistrati: Di Matteo e un “collega di Caltanissetta” (come Falcone e Borsellino).

L’iniziativa di Ciani, arrivata in Procura quasi contemporaneamente alla minaccia, mette di fatto un’ipoteca pesante sulla carriera di Di Matteo, obiettivo per il quale – secondo l’anonimo – gli stragisti avrebbero già ottenuto “il consenso del boss Riina”. Al pm della trattativa, l’indagine disciplinare del Pg di Cassazione rimprovera di aver violato il dovere di riservatezza, confermando, in un’intervista del 22 giugno 2012, l’esistenza delle intercettazioni tra Mancino e Napolitano, che però era stata già rivelata dal sito Pano  rama.it  .

Con una singolare coincidenza dei tempi, il ministro Severino decide proprio adesso di rispondere all’interrogazione presentata a settembre dai parlamentari Idv (per sapere se è vero che, dopo le proteste di Mancino e l’interessamento del Quirinale, Ciani domandò, nella riunione del 19 aprile scorso, all’allora capo della Pna Piero Grasso “di dare un indirizzo alle investigazioni sulla trattativa Stato-mafia, e/o di avocare le indagini”) e consegna al Pg la sua benedizione, attribuendogli un profilo di assoluta “correttezza” istituzionale, proprio mentre a Di Matteo viene assegnata una super scorta blindata.

Il Guardasigilli scrive che quell’incontro con Grasso “si inserisce nel quadro della generale funzione di sorveglianza che il pg della Cassazione ha l'obbligo di esercitare sul procuratore nazionale”. Non solo: la Severino dà per buono il resoconto di Ciani che esclude di aver sollecitato Grasso, direttamente o indirettamente, “ad avocare le indagini”. Eppure nel verbale di quella riunione, l’ex capo della Pna precisa “di non aver registrato violazioni tali da poter fondare un intervento di avocazione”. Un passaggio che non si spiegherebbe in alcun modo se l’avocazione non gli fosse stata chiesta espressamente.

Le Agende Rosse e Antimafia 2000 chiedono di archiviare il processo disciplinare (adesioni sul sito antimafiaduemila.com  ), ma il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, e tutti i consiglieri, hanno colto l'occasione per esprimere “stima” e “solidarietà” a Ciani. Nel silenzio assordante dell’Anm nazionale, che non ha speso una parola in suo sostegno (l’han fatto solo alcuni membri del Csm), Di Matteo ha ripreso a lavorare: domani sarà al processo Mori per la seconda parte della requisitoria.


Tratto dailfattoquotidiano.it

 

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