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pipitone-liaIn tanti alla presentazione del libro scritto dal figlio Alessio Cordaro, e dal giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo
di AMDuemila - 3 ottobre 2012
Palermo è la città dei misteri. Un libro, "Se muoio, sopravvivimi  -  La storia di mia madre, che non voleva essere più la figlia di un mafioso", edito da Melampo, riporta alla luce la storia dell'assassinio di Lia Pipitone, la figlia venticinquenne di un capomafia molto vicino a Riina e Provenzano, uccisa nel corso di una strana rapina, il 23 settembre 1983 all'Arenella.

Storia di mafia, sepolta nel tempo che il figlio della donna, Alessio Cordaro ha avuto il coraggio di raccontare con l'aiuto della penna del giornalista Salvo Palazzolo. Insieme hanno ripercorso la vicenda, raccogliendo nuove testimonianze, riesaminando gli atti dell'inchiesta e del precedente processo che si è concluso con l'assoluzione del padre di Lia, Antonino Pipitone e boss dell'Acquasanta.
Dopo la sentenza sul caso si è sollevata la “solita” cortina fumosa che contraddistingue tanti omicidi di mafia nonostante le testimonianze di alcuni pentiti che avevano raccontato come la giovane era stata uccisa addirittura su ordine del padre che così avrebbe voluto punirla per una presunta relazione extraconiugale.
Nel pomeriggio, presso la Feltrinelli, si è tenuta la presentazione del libro. Ospiti, oltre agli autori, il pm Antonio Ingroia, la giornalista moderatrice Barbara Giangravè e l'avvocato Nino Caleca, legale di parte civile della famiglia Cordaro e Preziosa Salatino che ha letto alcuni brani del libro.
Barbara Giangravé leggendo la prefazione del libro ha paragonato la storia di Lia con quella di Peppino Impastato, entrambi simbolo della ribellione alla cultura mafiosa.
“La speranza è che, come la pellicola “I Centopassi”, anche questo libro possa rendere giustizia alla storia di Lia”.
Una storia di profonda ribellione di una giovane donna innamorata nei confronti del padre capomafia. Nonostante le tante difficoltà Lia Pipitone riuscì a fuggire con il fidanzato e a sposarsi, per vivere la propria vita lontano da Cosa Nostra.
Ma la persecuzione mafiosa durò ancora a lungo, finché il 23 settembre '93 la sua vita non venne interrotta.
A raccontare i fatti il pentito Angelo Fontana. Questi conferma che l'omicidio fu voluto da Cosa nostra ed eseguito da due sicari dell'Acquasanta, che misero in atto una messinscena: una finta rapina a una sanitaria di via Papa Sergio. Il collaboratore di giustizia ha svelato poi anche un altro particolare inedito per le indagini riaperte dalla Procura palermitana (l'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal sostituto Francesco Del Bene ndr). Il giorno dopo l'assassinio della Pipitone, i due sicari uccisero il suo migliore amico Simone Di Trapani. E pure in questo caso venne organizzata una messinscena simulando un suicidio (lo obbligarono a scrivere un biglietto, 'Mi uccido per amore') mentre a buttarlo giàù dal quarto piano del suo condominio, in piazza Cascino, erano stati proprio i due killer.
Storie intrecciate su cui ora la procura palermitana cercherà di far luce.
Durante la presentazione Salvo Palazzolo ha proprio sottolineato come la città di Palermo sia impregnata di storie di vittime di cui si sa poco o nulla, magari archiviate come suicidi. “La storia di Lia è una di queste – ha detto – una storia in cui emergono diverse incongruenze sin dalle prime indagini, con tanto di depistaggi ed insabbiamenti. Oggi la Procura riapre le indagini per far luce su una storia da riscrivere”. Quindi ha raccontato il percorso che ha portato poi alla stesura del testo: “In questa fase di smarrimento del Paese, le idee di speranza che queste persone, i familiari delle vittime di mafia, trasmettono sono un messaggio forte. Per arrivare alla verità però ci vuole una cittadinanza più responsabile”.
E' il coraggio a muovere Alessio Cordaro. Il coraggio ed il desiderio di arrivare alla verità. “In un primo momento l'idea di rimettere tutto in gioco era travolgente poi, pian piano, è nata la convinzione che questa poteva essere una strada per arrivare alla verità sul perché mia madre è stata uccisa”. Così ha raccontato la propria storia, quando da bambino, per proteggerlo, gli era stato raccontato che la madre era morta cadendo dalla bicicletta. Poi, un giorno, quando ormai era un ragazzo, gli venne raccontata una parte di verità.  
Tra un intervento e l'altro la voce di Preziosa Salatino ha proiettato sempre più gli spettatori all'interno della storia leggendo alcuni brani del libro.
Quindi è stato il turno del legale di famiglia Nino Caleca: “Credo siano tantissimi i familiari delle vittime di mafia che si trovano condizioni di Alessio. E' importante l'azione della Procura, che ha scelto di non dimenticare riaprendo il caso, ma è ancora più importante che ci sia uno sforzo da parte della società civile. A Palermo vi sono tanti buchi neri. La mafia uccide e rovina le famiglie.
Questo è un concetto che troppo spesso dimentichiamo e Alessio ha scelto di non dimenticare. E così deve fare la città che deve ricordare le proprie vittime, perché abbiamo il dovere di dare una risposta a questa famiglia e a tutte quelle che hanno pianto un proprio caro per colpa della mafia”.
E sul valore della memoria e del ricordo si è soffermato anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia: “Dobbiamo ricordarci dell'importanza di ricordare ed è proprio questo uno dei meriti principali del libro. E' in questo modo che riconquistiamo queste storie di vite spezzate. Una storia di ribellione e di rivolta al potere criminale che schiaccia ed opprime”. Una storia che il magistrato ha associato a quella di Rita Atria, il cui suicidio è stato la conseguenza del suo isolamento e della strage di via d'Amelio. “Oggi siamo di fronte ad una nuova speranza che nasce dalla nuova generazione di un figlio che va contro l'oblio cercando di dare il proprio contributo per la verità con l'aiuto di un giornalista di inchiesta. Noi abbiamo il dovere istituzionale di seguire fino in fondo ogni traccia. Ma per arrivare alla verità noi abbiamo bisogno non solo dell'impegno e del coraggio alcuni giornalisti e familiari di vittime di mafia, ma anche dell'intera società”. “In questa stagione difficile – ha continuato Ingroia - che si sta rivelando di grande corruzione, con la presenza di un potere criminale, abbiamo bisogno di verità e giustizia. Perché si faccia giustizia però non bastano solo i magistrati che compiono il proprio dovere, o le buone leggi o l'azione di bravi investigatori. Occorre che la parte migliore della società spinga in questa stessa direzione e dimostri in modo tangibile di volere la verità su ogni mistero che ha contrassegnato la nostra storia. Dobbiamo chiederci cosa ognuno di noi può dare per il Paese, perché la verità è una conquista collettiva. Solo così non ci saranno più casi come quello di Lia Pipitone”.
La serata ha poi lasciato spazio alle emozioni, prima con la lettura della poesia preferita
di Lia Pipitone, “Se muoio, sopravvivimi” di Pablo Neruda, poi con la lettura di un estratto del libro da parte del figlio della giovane ribelle.
“Palermo è cambiata, è vero, ma vedo ancora troppa rassegnazione in giro. Nascere dentro una famiglia di mafia non può essere un destino dentro il quale soccombere”. Parole forti dette con sentimento mentre l'intera sala tributava un lungo e sentito applauso.