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napolitano giovanni falcone-bigdi Aaron Pettinari - 24 maggio 2012
Ieri l'Italia intera, da nord a sud, ha reso onore alla memoria del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo, di Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, saltati in aria a Capaci lungo l'autostrada che porta verso Palermo. Non solo. Si è reso onore anche alla memoria di Paolo Borsellino, degli agenti della scorta e di tutte le vittime di Mafia che nel corso della storia hanno pagato con la vita il valore del coraggio e della voglia di giustizia.

Manifestazioni, cortei, fiaccolate, eventi di ogni tipo. A Palermo erano in oltre diecimila. Tra questi vi erano anche i rappresentanti delle istituzioni quali il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il Premier Mario Monti. Ed è forse il peso delle loro parole a rappresentare la novità in questa nuova commemorazione. Sono diversi i punti di connessione tra questo 2012 e quel biennio, '92-'93, che ha visto le strade del Paese bagnate dal sangue. Oggi come allora ci troviamo di fronte ad una crisi economico-finanziaria. Oggi come allora al vertice della Nazione c'è un governo tecnico sostenuto dai partiti, sempre più in difficoltà. Oggi come allora sono tornate quelle “fiammate di violenza”, la più recente l'attentato alla scuola “Morvillo-Falcone” di Brindisi, che il procuratore nazionale antimafia Grasso ha definito nei giorni scorsi “terrorismo puro”.
Napolitano non è fuggito ieri da questo “strano parallelismo” anzi lo ha avallato dicendo che “l'attacco criminale, le stragi mafiose coincisero anche allora con difficoltà gravi della politica, con una crisi finanziaria acuta, con un palese logoramento del tessuto istituzionale, seppur in condizioni diverse”. “La mafia – ha continuato il Capo dello Stato - e le altre espressioni della criminalità organizzata rimangono un problema grave della democrazia e della società italiana. Siamo preoccupati per la persistente gravità della pressione e della minaccia mafiosa, non la sottovalutiamo ma ci sentiamo ben più forti di quei tragici momenti del 1992. Ci sentiamo ben più forti di ieri nel confrontarci con l'anti Stato, innanzitutto per l'eredità morale che ci hanno lasciato uomini come Giovanni Falcone e altri lungimiranti strateghi e combattenti della lotta alla legalità che gli furono accanto”. Napolitano ha ricordato anche Paolo Borsellino, ucciso in via D'Amelio 57 giorni dopo Falcone. “Un calvario”, lo ha definito Napolitano, “che lo condusse alla morte senza esitare e senza ritirarsi di un solo passo”. Il Capo dello Stato ha poi evidenziato i "gravi errori" nei processi per via D'Amelio perché “non altro è il metodo napolitano-falcone-biggiusto anche per affrontare e dipanare le ipotesi più gravi e delicate di impropri o perversi rapporti tra rappresentanti dello stato ed esponenti mafiosi. Falcone è stato tra coloro che hanno ben colto e analizzato le storiche debolezze e ambiguità dell’impegno dello stato nella lotta alla criminalità organizzata. Ma a noi oggi servono anche per questo aspetto verità rigorosamente accertate e non schemi precostituite. Solo così può rafforzarsi il clima di serena e responsabile e condivisa determinazione di cui oggi c’è bisogno sul fronte dell’impegno per la legalità e la sicurezza”.
Alle parole del Presidente della Repubblica si sono poi aggiunte anche quelle del premier Monti, ancor più importanti, intervenuto anche a riguardo delle nuove indagini sulla morte dei giudici Falcone e Borsellino: “Non bisogna mai stancarsi di cercare la verità sulla morte di Giovanni Falcone come su quella di Paolo Borsellino. In questi ultimi anni sono emersi nuovi particolari che hanno fatto anche rivedere sentenze della magistratura già definite; sono venuti alla luce alcuni pezzi mancanti della ricostruzione di quegli anni che devono essere analizzati fino in fondo, perché solo con la ricerca di tutta la verità noi renderemo pieno onore alla vita di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro”. Quindi ha aggiunto: “Non c'è alcuna ragione di Stato che possa giustificare ritardi nell'accertamento dei fatti e delle responsabilità. L'unica ragione dello Stato è la verità: verità per le vittime e per i familiari, verità per i cittadini, verità per gli onesti, verità per la speranza dei nostri figli”.
Una verità che fino ad oggi è stata ripetutamente negata proprio a causa dei tanti “vuoti di memoria” che hanno colpito pezzi delle istituzioni. Lo Stato è davvero pronto a processare se stesso? A chiederlo è la parte buona del Paese. Sono quelle migliaia di persone scese nelle piazze per ricordare il sacrificio di Falcone e Borsellino, quelle che si sono strette attorno ai magistrati di Palermo e Caltanissetta che su quella pagina buia della nostra storia stanno cercando di far luce. I primi stanno cercando di squarciare il velo sulla “trattativa” Stato-Mafia, condotta in più fasi, forse già prima della strage che portò alla morte Falcone. I secondi, dopo aver chiesto la revisione del processo della strage di Via D'Amelio in seguito alle rivelazioni del pentito Spatuzza, sarebbero ormai pronti a chiudere l'ultimo stralcio dell'indagine che potrebbe riempire importanti “buchi neri” rimasti aperti sul fronte degli esecutori materiali dell'attentato di Capaci. Lo ha detto chiaramente il procuratore nisseno Sergio Lari che ha annunciato ieri delle prossime novità: “Saranno novità che non metteranno in discussione i risultati già acquisiti ma individueranno altre responsabilità”. E, parlando del fallito attentato dell'Addaura, ha aggiunto: “Resta il fondato sospetto che ci furono talpe nelle istituzioni che diedero informazioni sugli spostamenti di Falcone”. Del resto iniziano ormai ad essere molteplici gli elementi che fanno supporre che oltre a Cosa Nostra ci sia stato qualcun altro a volere la morte dei giudici. Ed è questo il tempo giusto per affrontare la verità. Perché come ha detto il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso “c'è una maggiore consapevolezza su una battaglia che va combattuta fino in fondo. Ora ci vuole la collaborazione di tutti. E qualcuno non ha detto tutto. È il momento di farlo. Chiunque sa deve parlare, da qualunque parte stia”.

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