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cassata-franco-webdi Fabio Repici - 3 maggio 2012
In sintesi, verrebbe da dire così: oggi la Procura generale di Messina si è avvalsa della facoltà di non rispondere, nell’udienza del processo a carico del dr. Antonio Franco Cassata, incidentalmente Procuratore generale a Messina. Andiamo per ordine. Com’è noto, il dr. Cassata è imputato di diffamazione pluriaggravata in danno della memoria di Adolfo Parmaliana, commessa con l’invio, nel settembre 2009, di un esposto anonimo allo stesso Procuratore generale, al Sindaco di Terme Vigliatore, al senatore Giuseppe Lumia e allo scrittore Alfio Caruso, autore del libro “Io che da morto vi parlo”, biografia di Adolfo Parmaliana edita da Longanesi nel novembre 2009.

L’udienza odierna si è aperta con la lunga testimonianza del capitano Leandro Piccoli, in servizio presso il Ros dei carabinieri di Reggio Calabria: è l’ufficiale che ha espletato quasi per intero le indagini sul dossier anonimo su delega della Procura di Reggio Calabria. Il capitano Piccoli era stato presente al momento clou delle indagini, da cui scaturì l’iscrizione sul registro degli indagati del potente magistrato barcellonese. Era il 17 novembre 2010 e l’ufficiale aveva accompagnato a Messina il P.m. titolare delle indagini, il dr. Federico Perrone Capano, per l’audizione, da svolgersi per comodità negli uffici della Procura generale, di numerosi cancellieri in servizio presso l’ufficio diretto dal dr. Cassata. Quella mattina il Procuratore generale di Messina fu molto ospitale con il giovane collega reggino: e, dietro suo garbata insistenza, il dr. Perrone Capano e il capitano Piccoli sentirono i testimoni proprio nella stanza del dr. Cassata, messa a loro disposizione. Quando stavano per completare l’assunzione delle dichiarazioni dell’ultima testimone in calendario, il capitano Piccoli si avvide che in una vetrinetta antica sita in quella stanza era custodita una carpetta con un’annotazione manoscritta che agli occhi del magistrato procedente e dell’ufficiale parve inquietante: “copie esposto Parmaliana”; appena più giù, la dicitura, sempre manoscritta e ancor più inquietante, “da spedire”. Il magistrato inquirente e l’ufficiale dell’Arma, entrambi giovani rappresentanti dello Stato, si trovarono in un’incresciosa situazione, sicuramente inedita nella storia giudiziaria: dovevano sequestrare i documenti custoditi nella stanza di un potente Procuratore generale. Il dr. Federico Perrone Capano telefonò all’allora Procuratore capo di Reggio Calabria, il dr. Giuseppe Pignatone, per riferirgli quanto occorso. Pignatone chiamò allora Cassata, che non si trovava più al palazzo di giustizia, per spiegargli ciò che il suo collega aveva visto e la necessità di procedere al sequestro. Cassata – è facile immaginare dopo un lungo sospiro e in preda a un comprensibile magone – telefonò a sua volta al dr. Perrone Capano, segnalandogli che un funzionario di cancelleria di sua fiducia gli avrebbe aperto il mobile, che in quel momento era chiuso a chiave, consentendo così l’apprensione del fascicolo su cui gli inquirenti avevano messo gli occhi. Arrivò, dunque, la dr.ssa Franca Ruello, fiduciaria del dr. Cassata ma al contempo moglie del dr. Olindo Canali, magistrato storicamente legato al dr. Cassata, con l’apposita chiave. La carpetta subito sequestrata conteneva – incredibile dictu – quattro copie proprio del dossier anonimo e su due di esse erano appiccicati due post-it con l’annotazione manoscritta “Procura ME” e “Procura Reggio C.”.
Il lettore ingenuo potrebbe pensare che non ci fosse nulla di strano nel fatto che il 17 novembre 2010 l’armadio del Procuratore generale di Messina contenesse quattro copie del documento anonimo ricevuto dallo stesso Procuratore generale il 21 settembre 2009. Qui casca l’asino: quelle copie contenute in quella cartelletta, a differenza del documento ricevuto ufficialmente, mancavano del timbro dell’ufficio con il numero di protocollo (erano, cioè, copie dell’originale); e in quella cartelletta era stato scritto a penna: “da spedire”; e, per sventura del dr. Cassata, era proprio la sua grafia quella sulla copertina della carpetta e sui due post-it. Insomma, chiunque può capire perché a quel punto la Procura di Reggio Calabria iscrisse il dr. Cassata sul registro degli indagati. La carpetta sequestrata, tuttavia, conteneva anche tre copie di un altro provvedimento: un’ordinanza emessa il 7 settembre 2009 dal Gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con la quale era stata rigettata la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero Olindo Canali in un procedimento nato da una querela di Adolfo Parmaliana, a carico di tale Vito Calabrese, di professione avvocato, oggi imputato in due processi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per diffamazione ai danni di Adolfo Parmaliana. Anche le copie di questo provvedimento non avevano alcun timbro e alcun protocollo, né avevano ragione di trovarsi nella stanza del dr. Cassata. Però, guarda caso, erano nella carpetta nell’armadietto personale del dr. Cassata.
Nel corso della sua testimonianza, poi, il capitano Piccoli ha illustrato l’attività di acquisizione dei tabulati telefonici di numerose utenze, in uso al dr. Cassata e a una serie di persone a lui vicine (e, fra queste, quelle del dr. Canali e della moglie di quest’ultimo) e le risultanze ricavate da quei tabulati. Tra le altre, una circostanza davvero curiosa: il dr. Olindo Canali, magistrato della Repubblica, oltre a usare un telefono cellulare intestato a sé, ne utilizzava (o forse ancora ne utilizza) anche uno intestato a una signora di Biella. La quale signora di Biella dev’essere senz’altro amica del dr. Canali, se solo nel settembre 2009, come accertato dal capitano Piccoli, fra il proprio cellulare e quello in uso al dr. Canali (ma intestato alla predetta signora) sono stati rilevati oltre mille contatti telefonici. La figura della donna biellese a quel punto attirò l’attenzione degli inquirenti, che accertarono, come riferito oggi dal capitano Piccoli, che quella signora il 17 settembre 2009 dalla natìa Biella era discesa in Sicilia, aveva alloggiato per tre giorni nei dintorni di Barcellona Pozzo di Gotto e aveva fatto rientro a casa il successivo 20 settembre. Il 21 settembre 2009, poi, la donna, si era recata a Milano, città da lei solitamente non frequentata. Qualche giorno ancora dopo, allo scrittore Alfio Caruso, proprio a Milano, sarebbe stato recapitata la busta contenente il dossier anonimo. Altra stranezza, quella delle buste contenenti gli esposti ricevuti dal Procuratore generale di Messina, dal Sindaco di Terme Vigliatore e da Alfio Caruso: recavano tutte identica affrancatura ma nessuna di esse riportava il timbro delle Poste Italiane, circostanza che ha indotto il capitano Piccoli a riferire al Giudice che quelle buste erano state recapitate a mano, senza servizio postale.
Torno al punto da cui sono partito. Dopo il capitano Piccoli era prevista la testimonianza di cinque esponenti del personale amministrativo della Procura generale. La deposizione del primo, il funzionario di cancelleria Mario Sofia, ormai in pensione (noto perché, quand’era in servizio, alla porta aveva una targhetta nominativa nella quale, anziché le mansioni, era indicato il titolo di cavaliere), è filata via senza problemi di sorta. Gli altri quattro, invece, sono tuttora indagati, in un procedimento connesso, in concorso con il dr. Cassata per la diffamazione in danno di Adolfo Parmaliana. Stando così le cose, il Giudice ha rappresentato loro (la predetta Franca Ruello in Canali, Domenico Bottari, Antonia Gugliandolo e Angelica Rosso) che dovevano essere assistiti da un avvocato. All’uopo l’avv. Fabrizio Formica, difensore intervenuto in udienza nell’interesse della dr.ssa Ruello e già difensore del dr. Canali, condannato il 14 marzo scorso a due anni di reclusione per falsa testimonianza, peraltro presente oggi – iphone alla mano – fin dall’apertura dell’udienza, ha garantito l’assistenza difensiva a tutti gli indagati di reato connesso. Poi il Giudice ha avvisato gli impiegati della Procura generale di Messina che avevano facoltà di non rispondere. Ognuno di loro, volta per volta, ha risposto immantinente: “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Per questo a fine udienza veniva voglia di generalizzare: “la Procura generale si è avvalsa della facoltà di non rispondere”.
Si vedrà, quando toccherà a lui, cosa farà il Procuratore generale. Anch’egli, che in questo processo è l’imputato, potrà astenersi dal rendere esame. Se il buongiorno si vede dal mattino…
La prossima udienza sarà il 17 maggio prossimo.

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