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polizei effdi Antonio Nicola Pezzuto
È durata un anno la latitanza di Patrizio Pellegrino, boss della Sacra Corona Unita. Di lui si erano perse le tracce l’11 novembre dell’anno scorso, quando riuscì a sfuggire alla maxi operazione di polizia denominata “Vortice - Déjà Vu”. Anche suo fratello Antonio, in quell’occasione, era riuscito a sottrarsi alla morsa degli investigatori per poi essere fermato lo scorso maggio.
Patrizio Pellegrino è stato bloccato a Monaco di Baviera dalla BKA, la polizia federale tedesca che ha operato in stretto contatto con i Carabinieri del ROS di Lecce.
Si trovava alla stazione e portava con sé un passaporto falso, intestato a un cittadino rumeno. Ha cercato di trarre in inganno i poliziotti negando la sua vera identità ma alla fine ha dovuto arrendersi.
Patrizio Pellegrino è figlio dell’ergastolano Francesco, alias “Zu Peppu”. Insieme al fratello Antonio era finito al centro di due distinte indagini: “Vortice – Déjà Vu” condotta dai Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Lecce e “White Butcher” dalla Guardia di Finanza di Brindisi.
L’operazione “Vortice – Déjà Vu” era arrivata al termine di lunghe indagini che avevano abbracciato il periodo compreso tra gli anni 2008-2012. Per la precisione si snodava lungo due filoni: l’indagine “Vortice” del ROS e l’indagine “Déjà Vu” del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Lecce. Su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, il GIP aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare che aveva colpito 26 persone, altre 53 risultavano indagate.
Gli indagati venivano ritenuti responsabili, a vario titolo, di “associazione di tipo mafioso”, “associazione finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti”, “introduzione nello Stato, porto e detenzione illegale di armi da guerra”, “tentato omicidio”, “estorsione”, “usura”, “esercizio abusivo di attività finanziaria”, intestazione fittizia di beni”, “violazione degli obblighi della sorveglianza speciale”, “falsità materiale ed ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico”, “abuso d’ufficio” e “corruzione per un atto d’ufficio”, molti dei quali in “concorso” fra i vari indagati ed aggravati dalle modalità e finalità mafiose”.
Dal lavoro degli investigatori era emersa l’influenza esercitata sul Nord Salento dallo storico boss Giovanni De Tommasi, capo indiscusso della SCU Leccese che continuava a impartire ordini dal carcere tramite la moglie Ilde Saponaro.
Il sodalizio operava in vari settori. Estorsioni, usura, spaccio di sostanze stupefacenti e gioco d’azzardo rimpinguavano le casse del clan che non si fermava davanti a nessun ostacolo oltrepassando anche i confini nazionali. Infatti, tramite Cyril Cedric Savary, un trafficante di stupefacenti anche lui caduto nella rete delle indagini, intraprendevano rapporti con trafficanti colombiani e spagnoli dando vita a un redditizio traffico internazionale di cocaina, hashish e marijuana. Queste sostanze stupefacenti venivano reperite in Francia e importate nel Salento tramite corrieri che le nascondevano a bordo di automezzi. Una volta arrivate nel tacco d’Italia venivano gestite dal gruppo di De Tommasi per Campi Salentina e da quello dei Pellegrino-Notaro per Squinzano che si occupavano di smistarlo sul territorio rifornendo consumatori e altri sodalizi operanti a Lecce, Brindisi e Taranto. L’intervento della Magistratura e dei Carabinieri aveva stroncato sul nascere l’ambizioso progetto dell’associazione di allungare le mani anche sul mercato degli stupefacenti in Danimarca e in Germania. Durante le indagini erano stati sequestrati più di 10 chili di cocaina e 300 grammi di marijuana. I guadagni derivanti dal narcotraffico venivano poi reinvestiti in un vorticoso giro di usura e per finanziare un’abusiva attività di “cambio assegni”.

L’operazione “Vortice – Déjà Vu” aveva consentito di far luce anche sui rapporti tra due storici clan della Sacra Corona Unita: il clan De Tommasi e il clan dei Tornese di Monteroni di Lecce. Rapporti che sembrano essersi rasserenati dopo anni cruenti che hanno macchiato di sangue il territorio salentino. Contrasti che avevano mietuto vittime eccellenti come Ivo De Tommasi, fratello di Giovanni, ucciso da Francesco Santolla, personaggio di rilievo del clan Tornese. Questo omicidio scatenò una serie di episodi violenti che culminarono nell’assassinio del diciassettenne Romualdo Santolla, figlio di Francesco, estraneo alla criminalità organizzata.
I Pellegrino avevano un forte potere di condizionamento sul territorio squinzanese che consentiva al clan di influenzare le varie attività economiche.
La gravità della situazione è stata descritta nelle tre ordinanze emesse nel giro di pochi mesi dalla Magistratura. Basta leggerle e studiarle per rendersi conto che i tentacoli della SCU stavano soffocando il tessuto economico e sociale della città. «Almeno lo ringrazi, ti ha voluto fare un “pensiero” estivo, mi ha dato un orologio», è il contenuto di una conversazione dei fratelli Pellegrino che facevano riferimento a un gioielliere che regalava loro un orologio. Altri episodi contenuti nelle ordinanze parlano di commercianti “invitati” a fornire gratis indumenti al Pellegrino. Uno dei fatti, che meglio evidenziava l’”autorevolezza della famiglia Pellegrino sul territorio, si verificava il 5 marzo 2011. Accadeva che Antonio Pellegrino segnalava ai Carabinieri il tentativo di effrazione della sua autovettura. I militari si accorgevano di un biglietto che il Pellegrino aveva lasciato sul parabrezza per scongiurare eventuali e ulteriori azioni di questo tipo. «Suntu lu Zu Peppu la machina è mia». Questo c’era scritto su quel pezzo di carta, «spendendo senza mezze misure la forza d’intimidazione derivante dal suo appellativo ormai ben noto in zona», recitava l’ordinanza. E ancora, si riscontrava forte la presenza dei Pellegrino nell’azione di “recupero crediti” per conto di persone a loro vicine e l’interessamento per il settore delle bische clandestine, delle aste giudiziarie e per il mondo del calcio. Episodi di evidente sottomissione degli imprenditori sono citati nelle carte della Magistratura che evidenziano la “capacità della famiglia Pellegrino di infiltrarsi nel tessuto amministrativo e politico del Comune di Squinzano”. Esemplare, in tal senso, «l’occupazione illegittima di un alloggio IACP sul falso presupposto dei problemi di salute della madre, grazie al “morbido” e “succube” benestare degli organi comunali». Chiara e significativa la dichiarazione di un vigile: «Antonio Pellegrino diceva che aveva una lista di case… aveva verificato personalmente che erano vuote… aggiunse che dovevamo prodigarci per trovare fra quelle indicate una casa che lui stesso avrebbe occupato… disse testualmente: una casa per me deve comunque uscire!». Sull’effettivo potere dei Pellegrino si è espresso il collaboratore di giustizia Ercole Penna, ritenuto attendibile dai magistrati: «… Ricevetti le doti di “sgarro” e di “santa” e al “movimento” partecipò Antonio Pellegrino… con riferimento alla zona di Squinzano, da circa 20 anni conosco la famiglia di Zu Peppu… da allora i nostri rapporti non si sono mai interrotti e ad alcune doti di rialzo hanno partecipato anche i Pellegrino… nel 2000 Tonio Pellegrino si affiliò a Grasso di Surbo schierandosi contro Toma… il clan dei Pellegrino è molto rispettato in quell’area, lo paragonerei al rispetto che su Mesagne nutrono per noi… nel tessuto imprenditoriale e nell’amministrazione comunale si muovono come meglio credono… nel momento in cui dovessero aver bisogno di denaro, sanno di poter contare su numerosi imprenditori che si mettono a loro disposizione…in più circostanze Pellegrino Antonio mi ha ribadito che vuole che Squinzano stia tranquilla e tutti stiano bene in modo da farsi apprezzare ed ottenere il riconoscimento del loro ruolo sul territorio…»
Patrizio e Antonio Pellegrino erano stati coinvolti anche nell’indagine “White Butcher” della Guardia di Finanza di Brindisi condotta sotto la regia dei PM della direzione Distrettuale Antimafia di Lecce Giuseppe Capoccia, nel frattempo divenuto Prouratore Capo a Crotone e Valeria Farina Valaori.
In questo caso i Pellegrino avevano “costituito in Squinzano un’associazione per delinquere transnazionale finalizzata a commettere più delitti di acquisto, importazione, trasporto, detenzione, distribuzione, vendita e comunque cessione di ingenti quantitativi di cocaina proveniente dalla Colombia”, come si legge nell’ordinanza firmata dal GIP Antonia Martalò.
Un’organizzazione che cercava di compiere un notevole salto di qualità intrattenendo rapporti con esponenti della criminalità calabrese e sudamericana.
Il 31 agosto del 2014 i Pellegrino si trasferiscono in Germania per gestire il traffico di sostanze stupefacenti ma l’11 novembre 2014 viene emessa nei loro confronti un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione “Vortice – Déjà Vu”. Da allora diventano latitanti e le utenze in loro possesso, intercettate dagli investigatori, non fanno registrare più alcun contatto.
Lo scorso maggio, a Nagylak, in Ungheria, un posto di frontiera con la Romania, Antonio Pellegrino viene arrestato dalla polizia ungherese in coordinamento operativo con i Carabinieri del ROS e con il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia del Ministero dell’Interno. A tradirlo un vistoso tatuaggio che aveva sul collo ed il successivo rilievo delle impronte digitali. A nulla gli sono serviti i documenti falsi. L’uomo portava con sé 25.000 euro in contanti.
Adesso, la stessa sorte è toccata a suo fratello Patrizio. Finisce così la latitanza di un esponente di spicco della Sacra Corona Unita che fa affari, si infiltra nelle amministrazioni pubbliche e condiziona le attività economiche e sociali delle comunità.

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