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lecce centro storico c wikipediadi Antonio Nicola Pezzuto
Eclissi, questo il nome dato dagli investigatori all’operazione che nello scorso novembre ha ridisegnato il panorama criminale Leccese e i rapporti di forza tra i vari clan. Le indagini hanno documentato l’eclissarsi di un gruppo, quello di Roberto Nisi, a vantaggio di quello capeggiato da Pasquale Briganti, detto “Maurizio” e di quello guidato dai fratelli Antonio e Cristian Pepe. Questa evoluzione importantissima degli equilibri all’interno della Sacra Corona Unita del capoluogo salentino ha indotto gli inquirenti a denominare l’operazione “Eclissi”.
Nell’occasione furono emesse trentacinque ordinanze di custodia cautelare dal Gip Alcide Maritati su richiesta del Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia, Guglielmo Cataldi. Ad eseguirle la Squadra Mobile di Lecce coadiuvata dalle Squadre Mobili di tutta la Puglia, ma anche di Matera e Potenza e dal Reparto Volo e dei Cinofili di Bari.
Le persone colpite dai provvedimenti restrittivi rispondevano, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, rapina, estorsione, favoreggiamento personale, detenzione illegale di arma, minacce, morte come conseguenza di altro delitto.

La lotta per la supremazia tra clan aveva seminato il terrore in città perché i contendenti avevano intrapreso una guerra che li portava anche a effettuare attentati dinamitardi ai danni di esercizi commerciali per accaparrarsi la “tassa sulla sicurezza”. Uno scenario ad alta tensione in cui non sono mancati gli agguati tra gli affiliati alle diverse fazioni con ferimenti e aggressioni avvenute anche all’interno degli istituti penitenziari.
Strategie di vecchio stampo mescolate all’innovazione dettata dai tempi moderni. Le indagini hanno appurato come i boss riuscissero a comunicare dal carcere con i propri familiari grazie alle nuove tecnologie. Facebook, Video Calling e Skype venivano utilizzati per impartire ordini all’esterno.
Ma ciò che sembra accomunare le nuove leve della sacra Corona Unita 2.0 è l’efferatezza. Pur di incassare il denaro dovuto per una fornitura di droga i nuovi boss hanno assunto atteggiamenti vessatori nei confronti di un ragazzo di 21 anni, Luca Rollo di Cavallino, con problemi di tossicodipendenza. Il giovane, per sfuggire alle angherie, il 12 gennaio del 2013 decise di impiccarsi.
Scriveva a tal proposito il Gip Alcide Maritati: “Le condotte reiterate di vessazione, minaccia e violenza compiute da tutti i soggetti nei confronti del povero Luca Rollo sono state di tale insistenza e cattiveria da non potersi certamente ritenere che l’evento suicidario non debba essere messo in stretta relazione causale con il delitto di spaccio e con l’estorsione pluriaggravata finalizzata a recuperare i debiti maturati da Rollo”.
A distanza di dieci mesi da quella importante operazione di polizia  è arrivato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari. L’inchiesta, condotta dal Pubblico Ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Guglielmo Cataldi, si è allargata anche grazie alle nuove rivelazioni del nuovo collaboratore di giustizia Gioele Greco e coinvolge ben 91 indagati appartenenti a quattro clan operanti sul territorio di Lecce e nei paesi limitrofi: quello facente capo a Pasquale Briganti, quello facente capo a Cristian e ad Antonio Pepe, quello facente capo a Roberto Nisi e quello capeggiato da Bruno e Roberto Mirko De Matteis.
Nelle quaranta pagine della Procura vengono descritte le varie attività della Sacra Corona Unita S.p.A. Una vera e propria holding criminale impegnata in molteplici settori; dal traffico di sostanze stupefacenti all’usura, dalle estorsioni – anche con l’imposizione di servizi di guardiania e di vigilanza a cantieri, esercizi commerciali, locali pubblici e privati ed in occasione di pubblici spettacoli – al recupero crediti, all’esercizio abusivo del gioco d’azzardo, al finanziamento abusivo a terzi e “all’affissione dei manifesti elettorali e del controllo delle attività economiche e di quelle della Pubblica Amministrazione operante sul territorio”.
I clan facevano ricorso alla propria forza di intimidazione per realizzare un clima di omertà e di soggezione anche all’interno dell’organizzazione stessa. “Associazione le cui articolazioni gestivano (anche in forma autonoma) una cassa comune alimentata con i proventi delle illecite attività, utilizzata anche per il sostentamento dei sodali detenuti”.
Per quanto riguarda l’ingerenza della Scu nella campagna elettorale e i rapporti con la Pubblica Amministrazione ecco quanto scritto dal Pubblico Ministero: “Concorrevano poi, ai sensi dell’art. 110 c.p. all’attività della predetta organizzazione mafiosa, pur non facendone parte, Castelluzzo Vittorio e Blago Mario che  nel corso delle consultazioni elettorali in genere  e  specificatamente di quelle comunali del 2012, assicuravano un contributo consapevole e volontario avente effettiva rilevanza causale all’operatività della stessa garantendo i rapporti con gli appartenenti alla Pubblica Amministrazione e la gestione in via monopolistica dell’affissione dei manifesti elettorali il cui ricavato era ripartito tra i vari clan operanti su Lecce. Specificatamente forniva il Castelluzzo Vittorio la formale titolarietà di un’impresa autorizzata a svolgere la predetta attività di affissione manifesti e teneva il Blago Mario i contatti con i comitati elettorali nonché organizzava lo stesso Blago, al pari di Sergio Marti, l’attività di tutti coloro che provvedevano ad effettuare le affissioni dei manifesti e la distribuzione del materiale propagandistico durante il periodo elettorale; esercitava violenza e minaccia nei confronti di coloro i quali intendevano svolgere analoga attività sul territorio e/o non intendevano rivolgersi al loro gruppo organizzato, raccoglieva i proventi di detta attività e distribuiva gli stessi all’interno dell’organizzazione mafiosa”.
Una Sacra Corona Unita che mostra i muscoli dettando le sue regole in campagna elettorale e allo stesso tempo coltiva rapporti con appartenenti alla Pubblica Amministrazione.
Dalle intercettazioni emerge che Sergio Marti costringe un noto professionista, candidato alle elezioni comunali del 2012, a rivolgersi a un gruppo organizzato dallo stesso Marti, per effettuare l’affissione dei manifesti elettorali al costo di un euro e trenta per ogni affissione.
“Pronto… buongiorno dottore … ciao … salve … Sergio sono … sto passando perché ho fermato adesso un ragazzo … giustamente … che gli hai dato i manifesti … non mi sembra neanche una cosa corretta … sto venendo … se stai là passo”, affermava il Marti in una telefonata intercettata dalla Squadra Mobile di Lecce annunciando una visita al candidato che si prevedeva tutt’altro che amichevole. E infatti, incontrandolo di persona: “… elemosina qua non me ne serve … dice … no … va bene … tanto a Lecce non li puoi attaccare lo stesso … ho detto … glielo ho già detto … non è che alla fine faccio il fesso loro eh! … non esiste proprio … allora poi quando lo senti … tanto … poi glielo dici … gli dici … tanto se non li attacca Sergio … le … squadre sempre quelle sono … glielo ho già detto … eh! … cazzo! … dice … no … caso mai io te ne posso dare cinquecento … ho detto … a me elemosina non me ne devi fare … tanto i manifesti tuoi nelle marine li fai … portali a chi vuoi … ma a Lecce non li vedi … chiaro … mi chiamo Vittorio … mi chiamo e glielo dico … deve pagare un euro e trenta … li deve pagare”.
Un euro e trenta per ogni affissione, per intromettersi in una campagna elettorale condizionandola. Nuove strategie per influenzare le Pubbliche Amministrazioni. Questo sta emergendo dalle varie inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce che raccontano sempre più di una Sacra Corona Unita dal colletto bianco.

 

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