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conf-stampa-gdf-white-butcherdi Antonio Nicola Pezzuto - 8 aprile 2015
White Butcher. Potrebbe essere il titolo di un libro da cui prendere spunto per un film. Un racconto di fantasia che narra di trafficanti internazionali di stupefacenti, di personaggi che aspirano a scalare le gerarchie del mondo criminale e di fedeli servitori dello Stato.
E invece no. White Butcher è il nome di un’importante operazione della Guardia di Finanza di Brindisi condotta sotto la regia dei PM della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, Giuseppe Capoccia e Valeria Farina Valaori. Se fosse un film ci appassioneremmo a seguire il lavoro svolto sottotraccia da un encomiabile finanziere che si infiltra in un’organizzazione criminale per fare luce sulle sue dinamiche interne. E con lui si soffrirebbe e si starebbe in ansia per i grandi rischi assunti.
Ma non è un film né un racconto di fantasia quello racchiuso tra le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto di sette persone. È pura realtà. Una realtà che ci fa capire che, in un sistema corrotto come quello in cui viviamo, ci sono ancora persone che fanno in pieno il loro dovere e, per il solo fatto di svolgerlo fino all’ultimo in un contesto difficilissimo, sono da considerarsi degli eroi. Eroi silenziosi, quasi invisibili ma imprescindibili che rappresentano un ultimo baluardo in difesa della legalità e della giustizia. In questa storia ne troviamo due. Uno, soprattutto, è il grande protagonista. Grazie a lui viene smantellata un’organizzazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti. Grazie al suo coraggio e alla sua onestà le indagini prendono il via.

Siamo nell’autunno del 2012. Un Vice Brigadiere, che presta servizio presso la Compagnia della Guardia di Finanza di Brindisi, viene avvertito da un suo amico che c’è qualcuno alla ricerca di una copertura negli spazi doganali di Brindisi per far transitare un non ben precisato carico illecito. Tramite l’amico, seguono una serie di contatti con questo individuo, identificato poi in Francesco Pezzuto. E il 7 novembre, previa autorizzazione del PM, il finanziere incontra il misterioso personaggio. Durante l’incontro, il militare apprende che il carico illecito che deve aggirare le barriere doganali è costituito da sostanza stupefacente, nascosta in alcuni borsoni posti all’interno di un container. All’uomo delle Fiamme Gialle vengono chieste garanzie affinchè il carico possa essere trasferito su un furgone per uscire dagli spazi doganali senza essere sottoposto ai controlli di rito. Come ricompensa per questo primo lavoro gli vengono offerti ben 100mila euro. Il finanziere finge di stare al losco gioco e si infiltra nell’organizzazione. Partono le indagini che si basano su intercettazioni, su pedinamenti e controlli ma, soprattutto, sull’operato dell’integerrimo e coraggioso servitore dello Stato.
Al centro di questa storia troviamo i fratelli Antonio e Patrizio Pellegrino che, insieme a Francesco e Vittorio Pezzuto, come c’è scritto nell’ordinanza firmata dal Gip Antonia Martalò, avevano “costituito in Squinzano un’associazione per delinquere transnazionale finalizzata a commettere più delitti di acquisto, importazione, trasporto, detenzione, distribuzione, vendita e comunque cessione di ingenti quantitativi di cocaina proveniente dalla Colombia”.
I fratelli Pellegrino, ritenuti dagli inquirenti esponenti importanti della Sacra Corona Unita, erano già stati coinvolti nell’operazione “Vortice - Déjà Vu” dello scorso 11 novembre e da allora sono latitanti. Francesco e Vittorio Pezzuto, rispettivamente padre e figlio, sono invece due commercianti squinzanesi di carni. Da qui il nome dell’operazione “White Butcher” (Macelleria Bianca) perché parecchi degli incontri tra gli indagati avvenivano proprio nella macelleria dei Pezzuto.
All’associazione partecipavano anche i calabresi Giuseppe Novello e Stefano Condina e il colombiano Camilo Alberto Villamarin.
E proprio come in un film, ogni attore di questa vicenda ricopre un ruolo. Le indagini hanno fatto luce sulla suddivisione dei compiti assunti all’interno del sodalizio. Patrizio Pellegrino curava i rapporti con il calabrese Giuseppe Novello sia telefonicamente sia recandosi decine di volte in Calabria accompagnato, in alcuni casi dal fratello Antonio, in altri da Vittorio Pezzuto, in altri ancora da entrambi. Stesso ruolo veniva ricoperto da Antonio Pellegrino che procurava anche le sim – card “dedicate” ai contatti tra Francesco Pezzuto e il finanziere sotto copertura.
Francesco Pezzuto si occupava, appunto, di mantenere i rapporti con il finanziere sia telefonicamente sia incontrandosi con lui ripetutamente. In un’occasione gli pagava anche un viaggio a Genova per un sopralluogo al porto.
Vittorio Pezzuto, figlio di Francesco, informava i Pellegrino dei contenuti dei colloqui intercorsi tra il padre e il finanziere. Andava in Calabria con Patrizio Pellegrino e, alcune volte, anche con il fratello di quest’ultimo, Antonio, allo scopo di incontrare Giuseppe Novello. Accompagnava, inoltre, in aeroporto gli altri membri del gruppo in occasione dei viaggi a Genova e in Germania.
Giuseppe Novello, oltre a curare i rapporti con i Pellegrino e i Pezzuto tramite Patrizio Pellegrino, manteneva i collegamenti con il conterraneo Stefano Condina e si occupava dell’organizzazione dei traffici di cocaina provenienti dalla Colombia tramite navi in partenza dai porti del Cile, dell’Ecuador, del Perù e della Colombia.
Stefano Condina intratteneva i rapporti con i colombiani telefonicamente, mediante chat, recandosi più volte di persona in Colombia.
Villamarin Camilo Alberto era invece il referente dell’organizzazione colombiana che si relazionava con il Condina via chat ma anche incontrandolo di persona in Colombia e in Italia.
Proprio grazie al finanziere infiltrato, la Procura scopre il tentativo di fare arrivare nel porto di Brindisi cocaina colombiana mescolata a carbone boliviano. Il carico sarebbe dovuto partire dal porto di Arica in Cile. L’ordinazione di carbone da fare arrivare in Italia come carico di copertura mescolato alla droga veniva fatta da una ditta di Squinzano e da un’altra di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Grazie ai rigorosi controlli operati dalla FELP, la speciale forza di polizia boliviana per la lotta al narcotraffico, questo piano salta. Nel frattempo Francesco Pezzuto aveva invitato il finanziere infiltrato a prendere contatti con qualche suo collega operante nel porto di Genova Voltri allo scopo di aprirsi un altro corridoio per il traffico di sostanze stupefacenti. Il militare, continuando nel suo preziosissimo lavoro, si attivò in questo senso, e quindi, in questa storia, subentra un altro fedele servitore dello Stato.
Ma i rapporti con i colombiani erano sempre molto caldi e qualcosa l’organizzazione stava per concretizzare. L’attività di intercettazione, però, dava i suoi frutti. Infatti, dalle conversazioni sulle utenze degli indagati e da quanto raccontato da Francesco Pezzuto al finanziere infiltrato, trapelava il tentativo di fare arrivare la sostanza stupefacente nel porto di Gioia Tauro. Questa volta, la droga, proveniente da Guayaquil (Ecuador), era nascosta in un carico di banane, all’interno di borsoni.
A far saltare il piano criminale l’intervento del Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro attivo all’interno del porto. In seguito ai controlli effettuati il 23 giugno 2014 venivano sequestrati quattro borsoni che contenevano quasi 100 chili di cocaina. Contemporaneamente, però, il sodalizio, fortemente convinto di avere un altro referente nel collega del finanziere, aveva preso contatti con un peruviano per fare arrivare la droga nel porto di Genova. E così il carico di cocaina colombiana, partito dal porto peruviano di Callau, arriva nel porto di Genova. A questo punto Francesco Pezzuto chiama il finanziere brindisino, che pensava di avere corrotto, affinchè avvisasse urgentemente il collega di Genova dell’arrivo della sostanza stupefacente. Nel frattempo Patrizio Pellegrino e Giuseppe Novello si mettono d’accordo per recarsi a Genova il giorno seguente. E così Patrizio Pellegrino insieme a Francesco Pezzuto volano nel capoluogo ligure ma non trovano Novello che era rimasto in Calabria. Francesco Pezzuto, allora, chiama il finanziere infiltrato per comunicargli, come da accordi, gli estremi del container da comunicare all’altro collega. Ma il carico proibito, quasi cento chili di cocaina provenienti dal Perù, era già stato sequestrato. Il militare finto complice avvisava della circostanza Francesco Pezzuto.
“Ho una soluzione migliore di quelle due, fatti sentire presto, baci”, scriveva Patrizio Pellegrino in un sms inviato a Giuseppe Novello.
Falliti i primi due tentativi, il sodalizio cercava di aprirsi una terza via intraprendendo trattative con alcuni napoletani aventi appoggi in Germania al fine di fare entrare in Italia 70 chili di cocaina provenienti dalla Colombia. Francesco Pezzuto contattava il finanziere infiltrato e gli parlava di questa nuova pista con la possibilità di fare arrivare due grossi carichi: il primo di 200 kg, il secondo di 500. La droga veniva data in partenza dal porto di Santa Marta in Colombia. A questo punto Francesco Pezzuto esprimeva la volontà di conoscere il collega del militare operante su Genova. E così, il 3 luglio 2014, volavano in Liguria per incontrare il secondo finanziere infiltrato che avrebbe spiegato loro le modalità per portare a termine l’affare.
Impeccabili, anche in questa situazione, i due uomini dello Stato che riescono a mascherare bene il loro ruolo.
Il 31 agosto 2014 i Pellegrino si trasferiscono in Germania per gestire il traffico. Francesco Pezzuto incontrava ancora il primo finanziere infiltrato spiegandogli che doveva allertare il collega di Genova perché era imminente l’arrivo di un primo carico di circa 100 chili a cui avrebbero fatto seguito altri da 500 kg ciascuno.
Il 6 ottobre 2014 Francesco Pezzuto si recava in Germania. Al suo ritorno riferiva al finanziere sotto copertura di aver incontrato persone “serie di un certo spessore”, referenti di un’organizzazione che era pronta a fare arrivare nel porto di Genova circa 70 chili di cocaina. In questa occasione Francesco Pezzuto comunicava al finanziere infiltrato che il suo compenso gli sarebbe stato riconosciuto dopo la vendita dei primi 5 chili di cocaina.
Quando tutto sembrava pronto accade che l’11 novembre 2014 il Gip del Tribunale di Lecce emette un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei fratelli Pellegrino che da allora diventano latitanti e le utenze in loro possesso, intercettate dagli investigatori,  non fanno registrare più alcun contatto.
In data 19 novembre 2014 vengono sequestrati dalla Guardia di Finanza 118 chili di cocaina giunti nel porto di Gioia Tauro provenienti da Guayaquil (Ecuador) ed occultati in un carico di banane. Questo traffico era stato portato avanti dal Condina e dal Villamarin e ad esso non avevano partecipato gli altri membri dell’associazione.
Da evidenziare che, nonostante il sodalizio avesse subito un duro colpo a causa dell’ordinanza emessa nei confronti dei Pellegrino in un’altra indagine, Francesco Pezzuto in data 20 dicembre 2014 riferiva al finanziere infiltrato che la cocaina sarebbe comunque arrivata nel porto di Genova. Tutto era rimandato al febbraio successivo.
Un’indagine molto articolata che dimostra la volontà di esponenti della criminalità locale di compiere un notevole salto di qualità. Tentativo naufragato grazie all’operato di due esemplari servitori dello Stato che adesso non devono essere lasciati soli. Tanto hanno dato alla comunità, tanto è giusto che ricevano.

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