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buccarella-salvatoredi Antonio Nicola Pezzuto - 28 marzo 2014
Diventa proprietà dello Stato il patrimonio riconducibile a Salvatore Buccarella (in foto), detto “Totò Balla”, storico boss della Sacra Corona Unita. Una confisca del valore di 2,5 milioni di euro che ha un alto valore simbolico. Infatti, come afferma il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia di Lecce, Leonzio Ferretti “è la prima volta che si colpisce il capo di un clan della Sacra Corona Unita”.
Buccarella, nonostante sia attualmente detenuto nel carcere di Secondigliano per scontare l’ergastolo, continua ad essere il leader dell’omonimo clan attivo nei territori di Brindisi e Tuturano. Questo è quanto appurato dagli investigatori. A rinforzare questa tesi, un episodio avvenuto nel lontano 1998, quando fu scoperto a parlare al telefonino con alcuni sodali durante l’ora d’aria. Impartiva loro disposizioni riguardanti la gestione dei traffici sul territorio. L’apparecchio gli era stato fornito da un agente di polizia penitenziaria. L’iter che ha portato alla confisca definitiva del patrimonio del boss è durato ben undici anni; lo scorso 14 febbraio, la Cassazione ha preso l’irrevocabile decisione.

Gli inquirenti hanno indagato a fondo prendendo in esame gli anni compresi tra il 1980 e il 2000 e hanno appurato una forte sproporzione tra i redditi dichiarati dal Buccarella e la sua famiglia e gli investimenti effettuati. Un clan molto attivo in vari settori illeciti come quello della droga, delle estorsioni, delle bische clandestine e del traffico di sigarette e che, negli ultimi anni, aveva allungato i suoi tentacoli anche sul settore delle energie rinnovabili. Lo dimostra l’operazione “Helios” del 19 settembre 2012 che ha portato all’arresto di sedici persone. Ben tre generazioni di questo clan sono state interessate da questo blitz, come sottolineò all’epoca dei fatti il Procuratore Capo, Cataldo Motta. Un’inchiesta nata nel dicembre del 2009 quando il titolare di un’azienda messinese impegnata nella realizzazione di un campo fotovoltaico denunciò le richieste di pizzo da parte di Giovanni Buccarella (85 anni, padre di Salvatore) e di Cosimo Giardino Fai. I due furono arrestati in flagranza mentre riscuotevano una tangente di 18mila euro. Un’intera famiglia impegnata nel controllo di questo settore che si avvaleva della collaborazione di numerosi affiliati e di un altro esponente di spessore della Scu brindisina, Francesco Campana. Un’operazione che mise in evidenza anche il ruolo svolto dalle donne accusate di fare da tramite tra gli uomini detenuti in carcere e i gregari fuori, incaricati di gestire gli affari sul territorio. Facendo leva sulla sua forza intimidatrice, il clan riusciva a imporre il pizzo alle aziende operanti nel campo delle rinnovabili, senza fare ricorso a bombe, incendi, o peggio ancora, morti ammazzati. Le estorsioni potevano consistere anche in assunzioni di sodali o affini con mansioni di guardiania nei cantieri per l’impianto dei pannelli o di manovalanza semplice. Una Sacra Corona Unita che già allora si faceva impresa riuscendo a sostituirsi allo Stato in un momento economico molto difficile.
“Lo Stato non è più in grado di dare lavoro, la mafia sì. Questo è il più potente degli strumenti di controllo del consenso sociale, insieme alla cento euro versata a fondo perduto dal boss di turno alla gente comune che ne ha bisogno”, affermava allarmato il Procuratore Motta.
Il 5 marzo scorso, c’è stata la sentenza di primo grado riguardante dieci delle sedici persone arrestate nel corso dell’operazione “Helios” che hanno scelto di essere giudicate con il rito abbreviato. In tutto sono state emesse condanne per oltre settant’anni. L’accusa sostenuta dal Pm Alberto Santacatterina ne invocava novanta e mezzo.
Salvatore Buccarella è stato condannato a otto anni e otto mesi di reclusione ma è ormai detenuto dal lontano 1988. L’uomo è stato anche ritenuto mandante di un omicidio e nel 1990 riuscì ad evadere mentre era ricoverato nell’ospedale “Vito Fazzi” di Lecce dove si trovava ricoverato per disturbi cardiaci.
Vediamo nel dettaglio i beni confiscati alla famiglia Buccarella: parte della masseria di famiglia ubicata in contrada Santa Teresa a Tuturano per 850 metri quadri; 22 fondi agricoli per 50 ettari complessivi; un villino di sette vani a Tuturano; due abitazioni in contrada “Colemi”, sempre a Tuturano e un’abitazione di cinque vani, a Torre San Gennaro, marina di Torchiarolo.
Proprio la masseria viene ritenuta dagli investigatori un luogo simbolo in quanto, per anni, ha rappresentato il posto dove si riunivano gli appartenenti al clan.
Di bello ed esemplare in questa storia c’è che ben trenta ettari di terreno in contrada Santa Teresa, proprio intorno alla masseria del clan, sono adesso coltivati da Libera Terra, la cooperativa nata all’interno dell’associazione Libera di Don Luigi Ciotti.
A testimoniare l’importanza della confisca, la presenza a Lecce del Direttore della Direzione Investigativa Antimafia, Arturo De Felice: “Colpire i patrimoni delle organizzazioni criminali costituisce l’arma più incisiva e importante per combatterle - ha affermato il Direttore -. L’impegno deve essere continuo e non si può mai abbassare la guardia considerate le dimensioni dei patrimoni su cui cerchiamo di intervenire”.

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