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manca attilio reddi Lorenzo Baldo
La lettera della madre del medico alla moglie di Provenzano e l’appello alla Procura di Roma.

L’anticipazione del nuovo numero di Antimafia Duemila*

“Signora Saveria Benedetta Palazzolo, mi rivolgo a lei da madre a madre. Lei, in qualità di moglie di Bernardo Provenzano, è l'unica che mi potrebbe aiutare a cristallizzare la verità sulla morte di mio figlio, Attilio Manca. Suo marito era in procinto di parlare, ma è stato selvaggiamente picchiato e messo a tacere per sempre; quindi la esorto a continuare lei la collaborazione impedita a suo marito. Lo faccia per i suoi figli, per la sua coscienza, per chi da decenni aspetta un briciolo di verità”. Era il 22 maggio scorso, il giorno prima del 25° anniversario della strage di Capaci, quando Angela Manca, per tutti Angelina, si rivolgeva alla vedova del capo di Cosa Nostra tramite la sua pagina facebook. “Signora - scriveva con determinazione -, noi stiamo lottando con tutte le nostre forze per ridare dignità a nostro figlio; quella dignità  che hanno cercato di togliergli assieme alla vita. Ed è proprio per questa nostra lotta che continuiamo ad essere facile bersaglio da parte di esseri meschini, vili e senza dignità. Basterebbero poche parole da parte sua: Attilio Manca ha assistito mio marito Bernardo Provenzano durante la sua malattia. Le sue parole rafforzerebbero le dichiarazioni di ben quattro pentiti: Giuseppe Setola, Stefano Lo Verso, Carmelo D'Amico e Giuseppe Campo, che hanno dichiarato che Attilio è stato ucciso per aver curato Bernardo Provenzano e quindi diventato testimone scomodo...”. “Io sono fiduciosa - concludeva la madre del giovane urologo siciliano -. Confido nel suo cuore di madre, che sicuramente comprenderà  il dolore che ho per la perdita di un figlio, ma soprattutto comprenderà l'impotenza di potergli rendere la giustizia che merita. Un cordiale saluto. Angela Gentile”. Quella lettera (per il momento) è rimbalzata contro un muro di gomma. Certo è che ha avuto l’effetto di far riaccendere i riflettori su una vicenda - a dir poco ambigua - che aveva riguardato l’anziano padrino corleonese deceduto nel 2016 a 83 anni.

Un’archiviazione
Nel 2014 l’inchiesta sulle “presunte violenze” subite dal boss (detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Parma fino al mese di aprile di quello stesso anno) era stata archiviata dalla Procura di Parma. Archiviazione che era stata richiesta dal pm Lucia Russo con una eloquente indicazione: “Bernardo Provenzano non fu picchiato”. Veniva quindi chiuso un caso emerso nel maggio del 2013 dopo una puntata di “Servizio pubblico” su La7. In quella occasione era stato trasmesso in esclusiva un video del 15 dicembre 2012 in cui il capo di Cosa Nostra era a colloquio con i familiari. Il figlio Francesco Paolo gli chiedeva: “Pigghiasti lignate?”. E lui: “Lignate, sì. Dietro i reni”. Ma per la procura di Parma quel grande livido sulla testa mostrato nel video era invece frutto di una caduta in cella. Che non sarebbe stata l’unica, e comunque - secondo gli inquirenti - sarebbe stata provocata da uno stato degenerativo del boss che avrebbe compromesso pressoché totalmente le sue capacità e il controllo dei movimenti. Le relazioni mediche acquisite dalla Procura dopo quell’episodio convenivano nel ritenere che le lesioni erano compatibili con una “dinamica da caduta”. Fine del film.

(…)

Un appello, una petizione, una speranza
Non archiviate l’inchiesta sulla morte di Attilio Manca! E’ questo l’appello della famiglia Manca al Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, al Procuratore aggiunto Michele Prestipino e al sostituto procuratore Maria Cristina Palaia. Dal 14 aprile scorso sulla piattaforma change.org e sul sito antimafiaduemila.com rimbalzano forti le parole di Angelina, Gino e Luca Manca. Nell’arco di poche settimane la petizione viene sottoscritta da oltre 30.000 persone. Importanti personalità del mondo dell’antimafia, della politica, della cultura e dell’arte firmano con convinzione: da don Ciotti a Salvatore Borsellino, da Klaus Davi a Fiorella Mannoia, da Luigi Di Maio a Claudio Fava, da Marco Travaglio a Gianni Minà, da Vincenzo Agostino a Giulietto Chiesa e tantissimi altri. Tutti uniti per chiedere alla Procura di Roma di portare avanti le indagini per “omicidio volontario” a danno di Attilio Manca. Un fascicolo - contro ignoti - aperto più di un anno fa sul quale è calato un pericoloso silenzio. Se per la procura capitolina il caso è aperto, per quella di Viterbo, invece, Attilio Manca sarebbe morto per essersi iniettato volontariamente due dosi fatali di eroina nel braccio sbagliato. Lo scorso 29 marzo il Tribunale di Viterbo ha emesso la sentenza di condanna a 5 anni e 4 mesi nei confronti della cinquantenne romana Monica Mileti accusata di avere ceduto la droga al giovane urologo siciliano. Per gli uffici giudiziari di Viterbo il caso Manca è quindi chiuso. Ma il fascicolo aperto a Roma dice tutt’altra cosa. All’interno del faldone vi sono, tra l’altro, le testimonianze di quattro collaboratori di giustizia che, a vario titolo, circoscrivono la morte di Attilio Manca all’interno di un disegno criminoso dove si muovono: mafia, Servizi segreti “deviati” e massoneria. Partiamo dall’ultimo pentito. Giuseppe Campo, un ex picciotto della provincia di Messina, ha raccontato recentemente agli investigatori ed ai legali della famiglia Manca di essere stato incaricato lui stesso, a dicembre del 2003, di uccidere Attilio Manca, da un boss del messinese (Umberto Beneduce, indicato da alcuni rapporti di polizia come contiguo ad ambienti mafiosi barcellonesi, condannato in primo grado per droga nel maxi processo “Mare Nostrum” assieme al cugino di Attilio Manca, Ugo, entrambi assolti in via definitiva, ndr). Dopo un paio di mesi da quel primo incontro, all’ex picciotto sarebbe stato stato confidato che il giovane urologo siciliano era già stato ucciso a Viterbo e che tra i tre killer ci sarebbe stato anche Ugo Manca. Le dichiarazioni di Campo si aggiungono a quelle dell’ex boss dei Casalesi Giuseppe Setola (che per paura di ritorsioni poi ha ritrattato), a quelle dell’ex sodale di Provenzano, Stefano Lo Verso e infine alle affermazioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. Quest’ultimo nel 2015 ha rivelato agli inquirenti di essere stato messo a conoscenza del progetto omicidiario nei confronti di Attilio Manca a cui avrebbero preso parte esponenti di Cosa Nostra, apparati dei Servizi di sicurezza “deviati” in contatto con esponenti della massoneria. L’inchiesta romana è basata sull’esposto dei legali della famiglia Manca in cui, al di là delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, vengono evidenziati determinati dati oggettivi che portano ad escludere definitivamente la tesi del suicidio a base di droga. Veri e propri buchi neri che sovrastano la morte di questo brillante medico siciliano: il mancinismo puro di Attilio Manca e l’inesistenza di una sua eventuale tossicodipendenza; l’assenza delle impronte digitali di Attilio Manca sulle due siringhe ritrovate nel suo appartamento; le eloquenti immagini del cadavere di Attilio Manca poco conforme ad una morte per overdose; la mancanza di prove della cessione di eroina da parte di Monica Mileti; la nota della Squadra mobile Viterbo che attesta un dato non veritiero e cioé che Attilio Manca era in servizio all’ospedale Belcolle di Viterbo nei giorni in cui Provenzano si trovava a Marsiglia. Non è così: dai registri del nosocomio risulta che nei giorni di fine ottobre 2003 in cui Provenzano veniva operato in Francia, Attilio Manca non era in servizio (l’ex capo della squadra Mobile di Viterbo, Salvatore Gava, è stato successivamente condannato in via definitiva a 3 anni per un falso verbale alla scuola Diaz durante il G8 di Genova); l’intercettazione ambientale del 2007 tra Vincenza Bisognano, sorella del boss Carmelo (poi pentito), ed altre persone in cui si parla di Attilio Manca che sarebbe stato ucciso perché aveva riconosciuto Bernardo Provenzano, la stessa Bisognano aveva aggiunto che in molti sapevano che il boss, durante la sua latitanza, si era nascosto anche nel territorio di Barcellona Pozzo di Gotto; il vuoto investigativo in merito a determinati personaggi di Barcellona Pozzo di Gotto che prima ancora che uscissero le notizie dell’operazione in Francia di Bernardo Provenzano, avevano già ipotizzato alla famiglia Manca che la morte del loro congiunto sarebbe stata collegata ad una visita medica che Attilio Manca avrebbe effettuato al capo di Cosa Nostra; la scomparsa dai tabulati telefonici di alcune telefonate di Attilio Manca ai suoi genitori negli ultimi giorni del mese di ottobre del 2003 (nel periodo in cui Provenzano veniva operato in Francia) così come l’11 febbraio 2004, il giorno prima che Attilio Manca venisse ritrovato morto e infine il vuoto investigativo sulla giornata di Attilio Manca dell’11 febbraio 2004, quel giorno il giovane urologo aveva interrotto misteriosamente i rapporti con tutti, non aveva disdetto due importanti appuntamenti e non aveva più risposto al telefono. (…)

* Segue sul nuovo numero di Antimafia Duemila

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