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processo aemiliadi Sara Donatelli

Mafia in Emilia
“L’Emilia Romagna ha subìto una profonda trasformazione e si presenta caratterizzata dai tratti tipici dei territori infestati dalla cultura mafiosa”, potremmo iniziare con queste parole, scritte all’interno del Rapporto Annuale del 2015 della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo per descrivere ciò che è accaduto in Emilia Romagna negli ultimi due anni. E’ infatti inquietante il quadro che viene delineato all’interno del documento che, mettendo in fila tutta una serie di eventi e considerazioni, sentenzia definitivamente che l’Emilia Romagna è a tutti gli effetti terra di mafia. “L’immissione nel circuito legale di denaro di provenienza illecita, il radicamento nel territorio di rappresentanti del sodalizio in giacca e cravatta e dotati di competenze professionali e manageriali, il sostegno di una parte della stampa locale, il colpevole silenzio delle istituzioni, preoccupate dalle conseguenze derivanti dalla diffusione di notizie sulle presenze mafiose nei territori amministrati, la forza di intimidazione propria del gruppo operante in Emilia, hanno determinato una vera e propria trasformazione sociale e del tessuto economico ed imprenditoriale”.

Ma come si è arrivati a questo punto? La risposta la stanno provando a dare, oggi, i giudici del processo Aemilia, il primo maxiprocesso contro la mafia mai registrato in Emilia Romagna. Più di 200 imputati. Più di cento i capi di imputazione. Circa 30 le parti civili. Uno sforzo abnorme messo in atto dalla procura di Reggio Emilia, con a capo il Presidente Francesco Maria Caruso che fin da subito si è speso non solo affinché il processo fosse celebrato a Reggio Emilia, ma anche e soprattutto affinché tutta la comunità emiliana potesse assistere alle udienze, guardando in faccia molti dei protagonisti che hanno contribuito al radicamento del fenomeno mafioso in regione. In questi mesi sono state tantissime le voci che hanno provato a spiegare ed individuare le motivazioni per cui, per circa trent’anni, la ‘ndrangheta abbia agito indisturbatamente, portando avanti affari arrivando addirittura ad entrare dentro la Questura di Reggio Emilia.

Operazione Aemilia
Il punto di svolta avviene sicuramente la notte del 28 gennaio 2015: durante la notte scatta quella che viene ricordata come la più grande operazione antimafia mai avvenuta in Emilia Romagna. Il GIP di Bologna, Alberto Ziroldi, firma l’atto attraverso il quale vengono convalidati gli arresti per 117 persone. 1301 le pagine dell’ordinanza di custodia cautelare e 3 le procure interessate (Bologna, Brescia e Catanzaro). Sarà il Procuratore Generale Roberto Alfonso, prima a Bologna ma adesso a Milano, a pronunciare frasi durissime su ciò che l’inchiesta Aemilia ha posto in luce: “L’operazione Aemilia ha portato allo smantellamento di una fittissima rete di rapporti tra politica, imprenditoria e ’ndrangheta in Emilia Romagna, aprendo scenari nuovi nella lotta contro la criminalità organizzata al nord. In oltre 32 anni l’associazione si è sviluppata, crescendo come una metastasi nel corpo sano. L’organizzazione si è prima insediata e strutturata nel territorio, inquinando diversi settori dell’economia a partire dall’edilizia fino ad arrivare a toccare consulenti, ma anche amministratori e dirigenti pubblici, appartenenti alle forze dell’ordine e anche giornalisti. Lo scenario è impressionante, per l’ampiezza della base su cui poggia, per la solidità delle sue radici criminose, per la tecnica con cui produce e maschera ricchezze illecitamente costruite a danno della comunità emiliana”. Il Procuratore, però, sottolinea anche il clima omertoso contro cui si sono imbattuti durante le indagini: “Non c’è stata collaborazione. Mai una persona è venuta in Procura a raccontare, diversamente da quanto avvenuto in altri uffici del Paese”. Il silenzio e l’omertà della società civile emiliana, secondo la Relazione Annuale del 2015 stilata dalla DNA, “ha rallentato il formarsi di una piena consapevolezza della reale dimensione del fenomeno, compromettendo e rendendo più complessa una tempestiva ed efficace azione di contrasto. Il silenzio per troppo tempo serbato sul fenomeno e sul suo espandersi nel nord Italia non ha facilitato il diffondersi della cultura dell’anti-‘ndrangheta, anche se negli ultimi anni la società civile si è mostrata più matura e grazie alla diffusione di informazioni sulla misura della insinuazione nel tessuto sociale ed economico raggiunto dalla ‘ndrangheta, ha mutato il suo atteggiamento resistente e diffidente creando le condizioni per un graduale recupero del controllo del territorio”. Purtroppo, dagli elementi emersi sia dall’inchiesta Aemilia che dall’omonimo processo, il quadro si dimostra davvero complesso e, per certi versi, anche inquietante... (continua)

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