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falcone giovanni c shobha 2di Stefania Limiti
Tracce di pentrite non spiegate. Colloquio con gli esperti di esplosivi Romolo e Vadalà: non ci stupiremmo se si scoprisse un rinforzo della scarica

Non è bastato il ‘Capaci-bis’. Le indagini sulla strage del 23 maggio del 1992 devono andare avanti perché non tutto è stato chiarito. Apprendiamo che un nuovo fascicolo consentirà di raccogliere ulteriori elementi investigativi mentre volge al termine il processo che ha portato alla sbarra altri cinque uomini del commando che uccise Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti di scorta - la contabilità dei criminali incastrati rende giustizia alle vittime visto che altri 39 boss di Cosa nostra sono già stati inchiodati. Ufficialmente la notizia è del 27 maggio 2016. Nell’aula dove (mentre scriviamo) si sta chiudendo il cosiddetto processo ‘Capaci-bis’, Lia Sava, procuratore facente funzioni di Caltanissetta, ha detto: “Continueremo le indagini per cercare la verità sulle stragi. Ne abbiamo un obbligo giuridico e morale perché siamo consapevoli che nel procedimento concluso e in quello ancora aperto non può esserci tutto”. Già da tempo, tuttavia, circolavano ipotesi sull’avvio di un nuovo procedimento ed era forte la sensazione che nella seconda tranche di indagini due mondi siano rimasti lontani, separati e incomunicabili: da una parte il lavoro basato sugli atti di impulso della Direzione Nazionale Antimafia guidata da Pietro Grasso, dall’altra quello della Procura di Caltanissetta. Il primo imperniato, da quel che si sa, su diversi colloqui investigativi (Lo Giudice, Villani, Lo Forte) noti solo all’ufficio del PM che li ha ritenuti inutili, se non depistanti - neanche le parti del processo in corso possono accedere a quelle carte, semplici atti amministrativi per il giudice naturale; il secondo sull’apporto collaborativo di Spatuzza e Tranchina. Vedremo se le nuove indagini riusciranno a sbrigliare la matassa nella quale tanti fili si intrecciano: partono da Cosa nostra e vanno oltre i suoi confini. Uno degli aspetti più controversi della ricostruzione dei fatti riguarda la dinamica materiale dell’attentato: natura dell’esplosivo, peso della carica, sistema di innesco. Proprio attorno a queste tre diaboliche domande ruotano le verità indicibili della strage di Capaci.

Le perizie
Si dirà: ci sono le perizie. E’ vero. C’è quella ritenuta un valido punto fermo, disposta nell’immediatezza dei fatti - depositata il 6 ottobre del 1992 da Cabrino, Vassale, Delogu, Egidi, stimati professionisti in forza ad organismi di Stato; poi, tra il dicembre del ’92 e il giugno del ’99, in seguito ai sequestri in covi mafiosi di materiale esplodente, o alle dichiarazioni dei pentiti, vennero disposti altri undici accertamenti e consulenze tecnico-esplosivistiche; ancora, nel 2013, con la riapertura delle indagini, la Procura di Caltanissetta ha affidato un nuovo incarico a tre consulenti, autorevoli cattedratici presso varie Università Statali Italiane (Trifirò, Minero e Vincenti, che hanno tenuto a sottolineare correttamente la loro inesperienza in materia di terrorismo); infine, nell’ambito di quello stesso procedimento l’avvocato Salvatore Petronio, che difende l’imputato Tinnirello, ha richiesto una consulenza ai dottori Termentini e Ugolini, depositata l’8 dicembre 2015. Insomma, davvero tanta carne al fuoco, pagine e pagine di ragionamenti e valutazioni alle quali vanno aggiunte quelle prodotte dall’FBI.
Già, perché il Federal Bureau of Investigation volle ficcare il naso su quella spaventosa strage del 23 maggio, e c’è da scommettere che non lo fecero solo per rendere omaggio al loro amico Falcone. Comunque sia andata, è certo che i super tecnici presero un pezzo di cemento, lo analizzarono e dissero testualmente, in una relazione del 30 giugno 1992: “Le nostre analisi hanno identificato la presenza di pentrite e RDX. Questi materiali esplosivi si trovano nel Semtex”. Ma il micidiale Semtex, prodotto in Cecoslovacchia, venduto ovunque dai trafficanti che andavano su e giù per l’Europa, non risulta dalle analisi nostrane. Come la mettiamo? (continua)

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Foto © Shobha

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