Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

manca-attilio-web3Scopri il nuovo ANTIMAFIADuemila
di Luciano Mirone*
La denigrazione non basta. Per insabbiarlo è necessario il silenzio. Quel silenzio diabolico, vischioso, putrescente partorito da certe “menti raffinatissime” che hanno capito che il caso Attilio Manca potrebbe essere il tassello mancante di un mosaico complesso che ha un nome e un cognome: Bernardo Provenzano. Potrebbe… ma non ci sono prove. Non perché non esistano gli elementi su cui indagare, ma perché ogni volta che affiora un collegamento sulla trattativa Stato-mafia o sulla protezione occulta e istituzionale di cui “Binnu” avrebbe beneficiato anche a Barcellona Pozzo di Gotto (città di Attilio Manca), il mare del silenzio inghiotte ogni cosa.
Del resto, lo stesso collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, braccio destro del boss corleonese, recentemente lo ha confermato: “Provenzano durante la latitanza era protetto dal Ros e dai servizi segreti”.
Da undici anni c’è gente che quando si parla di questo argomento, o cambia discorso o usa il sarcasmo: “La morte di Attilio Manca? Non c’entra nulla con Provenzano”.

Sarà. Ma intanto qualcuno dovrebbe spiegare perché, in undici anni, la magistratura, l’ex capo della Squadra mobile di Viterbo, il medico legale che ha effettuato l’autopsia hanno assunto un atteggiamento talmente omissivo da indurre recentemente la Commissione parlamentare antimafia ad aprire un’inchiesta su questa storia. Strano che degli organi dello Stato si espongano così tanto per un banale suicidio. Significativo che per la prima volta, dopo undici anni, il procuratore di Viterbo, Alberto Pazienti, e il pm Renzo Petroselli, messi alle strette dalla presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, abbiano ammesso i “buchi neri” presenti nell’autopsia e l’incompetenza del medico legale. E quando un esame autoptico presenta dei “buchi neri”, indirettamente si conferma la tesi del depistaggio (tanto per fermarci alla sola autopsia).
Qualcuno dovrebbe spiegare perché il rapporto dei Carabinieri sul passaggio del boss corleonese a Barcellona non si trova. Insabbiato? Booh! Così come non c’è traccia della presunta latitanza di “Binnu” nel convento di Sant’Antonino, dove all’improvviso sono stati trasferiti ben cinque frati e ogni parete è stata ritinteggiata da cima a fondo dopo il presunto passaggio del capomafia corleonese.
Qualcuno dovrebbe spiegare se è vero che dopo la morte di Attilio Manca un personaggio di alto livello - avendo saputo che si indagava sul presunto intreccio fra il decesso dell’urologo e la latitanza di Provenzano - ha chiesto urgentemente il fascicolo, che poi sarebbe stato inghiottito dalle sabbie mobili di certi palazzi.
Qualcuno dovrebbe spiegare perché diversi collaboratori di giustizia confermano che la morte dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto - primo chirurgo in Italia, a soli 34 anni, ad operare il cancro alla prostata col sistema laparoscopico - sia legata all’operazione di Provenzano a Marsiglia (stessa patologia in cui era specializzato Manca) nell’autunno del 2003.
(segue)

* Per leggere l'articolo integrale pubblicato sul n. 72 di ANTIMAFIADuemila acquista il nuovo numero!

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos