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Intervista al pm Antonino Di Matteo
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
Per cercare di scoprire la “cointeressenza” esterna a Cosa Nostra nella decisione di uccidere Paolo Borsellino e i suoi cinque agenti di scorta abbiamo incontrato il pm palermitano Antonino Di Matteo che insieme ad Antonio Ingroia ha istruito il processo, tuttora in corso, per la mancata cattura di Provenzano nel ’95. La forte denuncia contenuta nel suo libro “Assedio alla toga” ha riacceso l’attenzione sugli attacchi alla magistratura degli ultimi anni perpetrati da un potere politico corrotto palesemente ostile alla giustizia. Con estrema lucidità e grande coraggio Nino Di Matteo racconta l’impegno di un magistrato antimafia che di fronte all evidenze di una commistione tra Stato e Cosa Nostra continua a cercare la verità sulle stragi del ’92 in nome della Costituzione Italiana sulla quale ha giurato.
“Ormai si può dare per accertata l’improvvisa accelerazione del progetto di uccidere Borsellino e il cambio di strategia rispetto al progetto di uccidere i politici – spiega Di Matteo –. La chiave per capire l’eventuale cointeressenza esterna a Cosa Nostra del mandato omicidiario nei confronti di Borsellino sta proprio nel capire le ragioni di questo improvviso cambio di rotta. Scoprire questo significherebbe, per i magistrati di Caltanissetta, di Palermo, più in generale per l’opinione pubblica e per il Paese, capire le vere ragioni e, eventualmente, gli altri mandanti della strage di via D’Amelio. E probabilmente non solo della strage di via d’Amelio, ma anche delle stragi del continente del 1993”. L’analisi del magistrato di Palermo parte da lontano, dal documento del 29 ottobre 1943 redatto dal capitano Scotten, ufficiale del servizio segreto britannico, relativo alla linea direttrice dell’azione che il governo militare intraprese nei confronti di Cosa nostra e cioè la “tregua negoziata” con i capi mafia. Primi vagiti di una “trattativa” Stato-mafia che ha attraversato decenni della nostra storia. E che ancora vige. Con una visione razionale Di Matteo riflette sull’ipotesi di un “depistaggio” nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio. Lo scenario che riaffiora dalle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino e dei suoi sodali è tutt’altro che lineare. Se Scarantino è stato “indottrinato” per deviare le indagini verso una direzione già prestabilita perchè alcune sue confessioni sono risultate veritiere? La “cortina di fumo” che tenta di impedire di arrivare alla verità sui mandanti esterni delle stragi rappresenta per il magistrato uno degli ostacoli più difficili da superare. Un impedimento che Di Matteo definisce un “mix micidiale di silenzi, disattenzioni, paure e reticenze” che caratterizzano sempre di più esponenti delle istituzioni e della politica.
Segue sul n. 68 di ANTIMAFIADuemila
LE ALTRE ANTICIPAZIONI
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