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Un depistaggio di Stato dietro la richiesta di revisione del processo per la strage di via D'Amelio?

di Lorenzo Baldo - 17 febbraio 2012
I principali protagonisti delle vecchie e nuove indagini sulla strage di via D'Amelio si ritrovano uno dopo l'altro nelle pagine della richiesta di revisione dei processi "Borsellino uno" e "Borsellino bis". A partire da Salvatore Candura che per primo accusa Vincenzo Scarantino di essere colui che lo ha incaricato di rubare la fiat 126 convertita in autobomba.

Nelle carte dei magistrati nisseni si susseguono le dichiarazioni del pentito Fabio Tranchina che indica Giuseppe Graviano come colui che, nascosto in un giardino dietro un muretto in fondo a via D'Amelio, avrebbe premuto il telecomando collegato all'autobomba. In base alla ricostruzione di Tranchina e ad altre prove raccolte dagli investigatori cade quindi la pista del Castello Utveggio quale possibile luogo dal quale i killer di Borsellino avrebbero premuto il telecomando. Al posto del castello torna sotto i riflettori la pista del palazzo dei fratelli Graziano, situato di fronte a via D'Amelio, dalla cui terrazza il mafioso di Brancaccio, Fifetto Cannella, avrebbe avvisato Giuseppe Graviano dell'arrivo di Borsellino. La figura del boss di Brancaccio e dei suoi collegamenti con Forza Italia viene passata ai raggi X dagli investigatori al pari di quella di Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), allora capo del pool che investigava sulla strage di via D'Amelio. Contro di lui e contro altri tre componenti della sua squadra si scagliano oggi Scarantino e i suoi due compari Candura e Andriotta che li accusano di violenze e pressioni per obbligarli a recitare una parte all'interno di una pista già prestabilita. L'ultima versione del picciotto della Guadagna e dei suoi compari di sventura, scaturita dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza, riapre gli scenari su possibili depistaggi istituzionali già presenti nelle stragi di Stato che hanno insanguinato il nostro Paese. Siamo di fronte ad una regia occulta capace di scrivere il copione che è stato fatto leggere a Candura, Scarantino e Andriotta? A quali ordini ha obbedito Arnaldo La Barbera, alias "Rutilius" (nome in codice ai tempi della sua collaborazione con i Servizi), quando lui e i suoi uomini impartivano "lezioni" a Scarantino e compagni? Dal canto suo Vincenzo Scarantino ha riferito negli anni una quantità di bugie che sono crollate miseramente con l'avvento di Gaspare Spatuzza. Ma altresì ha saputo fornire elementi veritieri, successivamente confermati dai nuovi collaboratori. Secondo quale strategia si è deciso quali notizie "confidenziali" dovevano essere messe in bocca a Scarantino, Candura e Andriotta? Alcune di queste dovevano essere veritiere, altre invece erano destinate a sbriciolarsi. Un grave errore o un rischio da correre sull'altare di una "ragione di Stato" figlia di una "trattativa" tra mafia e istituzioni vigente da decenni? E soprattutto quale "trattativa" è stata intuita da Paolo Borsellino al punto che la sua scoperta ha accelerato il programma del suo omicidio? Al momento le indagini sulla strage di via D'Amelio proseguono. Ma anche questa volta è una lotta contro il tempo. Contro l'oblio che incombe sulla fragile memoria del nostro Paese. Indifferente e complice a tanti crimini commessi.

Segue sul n. 68 di ANTIMAFIADuemila

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