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di AMDuemila
Sono state stralciate le posizioni di Francesco Di Noto e Baldassare Migliore all’interno della requisitoria del procedimento che li vede imputati in un processo di mafia e droga fra i quartieri Zen e Tommasso Natale in quanto martedì sono state destinatari di un nuovo ordine di custodia cautelare nel blitz Tenero dei Carabinieri. I pm antimafia di Palermo, Amelia Luise e Alfredo Gagliardi, per non sovrapporre i due procedimenti, hanno messo fuori dalla requisitoria i due impntati. Mentre per gli altri 16 imputati le richieste di pene sono state molto severe e arrivano quasi a raggiungere i due secoli di carcere totali.
Il primo della lista, per la durezza della richiesta, è stato il boss dello Zen Fabio Chianchiano: per lui l’accusa propone 16 anni e 8 mesi; per Salvatore Amato, Giuseppe Calvaruso, Tommaso Contino, Sandro Diele, Salvatore D’Urso, Giuseppe Fricano, Giuseppe La Torre e Girolamo Taormina la procura vuole 13 anni e 4 mesi a testa; Giuseppe Messia, richiesta 11 anni e 8 mesi; Francesco La Barbera, 1 anno; Salvatore Verga, 8 anni e 10 mesi; Vito Scarpitta, 8 anni, Vincenzo Di Lisi e Antonino Giambona 4 anni a testa. Richiesta notevole (le vicende di traffico degli stupefacenti sono unite molto pesantemente) anche per il pentito Silvio Guerrera: 8 anni e 4 mesi. Le posizioni di Di Noto e Migliore potrebbero essere riunite successivamente.
Non c’è solo mafia e droga, ma nel procedimento si parla anche di vari episodi di estorsione che sono stati contestati agli imputati da cui traggono forza le dichiarazioni di Guerrera. Secondo l’accusa Migliore era ritenuto il personaggio principale, anche perché fino a quei momenti era stato assolto due volte dall’accusa di mafia. Mentre il terzo arresto e l’attuale processo si legano proprio alle accuse di Guerrera, ex reggente del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo. Migliore, organico della famiglia di Passo di Rigano, ma anche a disposizione delle cosche di Tommasso Natale e di Carini, è proprietario di una impresa di movimento terra legata e agevolata dall’essere vicina a Cosa nostra. Il suo nome torna anche nell’indagine Giano bifronte, sulla corruzione al Comune per le speculazioni edilizie nelle ex aree industriali dimesse: uno degli sbancamenti delle costruzioni che doveva realizzare l’impresa edile Biocasa di Giovanni Lupo lo aveva fatto lui, in via Evangelista Di Blasi. E quell’accordo, secondo il pentito Filippo Salvatore Bisconti, avrebbe nascosto la “messa a posto” dello stesso Lupo.

Foto © Imagoeconomica

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