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di Marta Capaccioni
Dalle “soffiate” sull’operazione Olimpia 2 ai “ruoli super apicali” di Peppe e Giorgio De Stefano

Ieri la Procura Distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha depositato i verbali delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pino Liuzzo, sentito tra ottobre e novembre 2019 dal sostituto della Direzione antimafia Stefano Musolino. Il boss, imprenditore fedelissimo della famiglia Rosmini di Reggio Calabria, prima di essere condannato a 12 anni e 4 mesi nel processo “Araba Fenice”, era a capo di una vera e propria “holding criminale”, in grado di favorire infiltrazioni all’interno del settore edilizio privato e, come da lui stesso ammesso, aveva contatti con personaggi di vertice della criminalità della regione. A detta del pentito, spesso il suo tramite è stato Peppe Aquila, “uno dei perni della cosca Rosmini”.

Le dichiarazioni saranno discusse al processo “Gotha”
Come riporta la "Gazzetta del Sud" di Reggio Calabria, dopo il “no” della Corte all’audizione del neo pentito al processo “Breakfast”, adesso le dichiarazioni entrano nel processo “Gotha” (in appello con rito abbreviato).
La Maxi operazione, frutto dell’unificazione delle inchieste “Mammasantissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio”, ha visto indagati personaggi di diversi ambienti sociali. Tra questi spiccano il senatore Antonio Caridi, gli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo, l'ex assessore regionale della Calabria Alberto Sarra, l'ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa, il sacerdote Giuseppe Strangio e la giornalista Teresa Munari.
Per la Procura di Reggio Calabria, al tempo sotto la direzione del Procuratore capo Federico Cafiero de Raho (oggi procuratore Nazionale Antimafia), insieme all’aggiunto Gaetano Paci e ai sostituti Giuseppe Lombardo, Roberto Di Palma, Stefano Musolino, Giulia Pantano e Walter Ignazitto, gli indagati sarebbero responsabili di “una serie indeterminata di delitti, tra i quali numerosi posti in essere contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l'ordine pubblico, la personalità interna ed internazionale dello Stato, i diritti politici del cittadino, l'amministrazione della giustizia e l'attività giudiziaria, l'economia pubblica, l'industria ed il commercio”.

Olimpia 2: “sapevamo e ci buttammo latitanti”
Tra le tante cose finora dichiarate dal collaboratore di giustizia, quest’ultimo ha parlato anche di alcune “soffiate” all’interno degli apparati investigativi, grazie alle quali lui, insieme ad altri esponenti, vennero avvisati un giorno prima della messa in atto della seconda fase della storica Operazione “Olimpia”. Lo scorso 19 dicembre, a causa di alcuni “spifferi” agli uomini di ‘Ndrangheta, è stata anticipata di 24 ore anche l’Operazione "Rinascita-Scott", coordinata dal Procuratore della repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri.
Nel 1992 l’“Olimpia” fu organizzata dalla Dda calabrese: portò a processo oltre 280 imputati, si concluse con condanne per centinaia di anni di reclusione e 60 ergastoli e inaugurò una importante stagione di collaborazioni con esponenti della ‘Ndrangheta. L’Olimpia 2, invece, ebbe luogo nel febbraio 1997, ma Pippo Liuzzo riuscì ad evitare il carcere e a darsi alla latitanza: “Tramite Aquila abbiamo saputo che c’era l’operazione Olimpia, in quanto c’erano sia Rodà sia Gullì sia altri collaboratori di giustizia che avevano fatto delle dichiarazioni e che avevano preparato questo maxi-processo e sia io che Nino Nicolò, Totò Rosmini, adesso non mi ricordo chi altri, ci siamo buttati latitanti, in quanto noi sapevamo che il 24… voglio dire, a entrare il 25 febbraio del 1997, sarebbe scoppiata, voglio dire l’Olimpia Bis… Olimpia 2. Abbiamo saputo il 24 pomeriggio”.

I contatti tra le famiglie Rosmini-De Stefano
Il pentito Liuzzo ha parlato di conoscenze ai vertici della criminalità di Reggio Calabria, facendo riferimento alla famiglia mafiosa dei De Stefano, ossia alla cosca ‘ndranghetista protagonista della prima e della seconda guerra di mafia che, nel 1991, si riunì in un summit a cui sembra (da dichiarazioni di altri pentiti) abbiano partecipato anche esponenti di Cosa Nostra siciliana, per decretare la pace, “altrimenti i progetti in atto non potevano andare avanti”. Progetti che riguardavano non solo i legami e gli affari tra le due organizzazioni, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, ma anche, con molta probabilità, la pianificazione degli eventi degli anni successivi: stragi ed attentati.
Una famiglia importante quindi, quella dei De Stefano, che il pentito dice di aver conosciuto prima di tutto nella figura dell’avvocato Giorgio De Stefano: “Sono andato presso il suo studio legale per ragioni legate ad alcune pratiche che lui seguiva come avvocato. Giorgio De Stefano era in rapporti strettissimi con Gioacchino Campolo. Giorgio De Stefano interloquiva con la famiglia Rosmini per il tramite di Peppe Aquila. Ho avuto a che fare con tanti esponenti della famiglia De Stefano, ma i ruoli 'super apicali' sono rivestiti da Peppe De Stefano e dall’avvocato Giorgio De Stefano. Sul punto mi sono confrontato con Diego Rosmini: quest’ultimo quando parlava di Giorgio De Stefano diceva che era una persona di serie A e lui usava questa espressione solo per personaggi di altissimo rango come ad esempio pasquale Condello”.

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